Cassazione: ‘Non serve querela scritta per condannare chi ferisce una donna’

La sentenza riguarda un uomo di Rossano per lesioni colpose e omissione di soccorso alla moglie che prima di essere operata aveva chiesto ai carabinieri di punirlo

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    Non serve la querela scritta per condannare chi ferisce una donna, anche accidentalmente, e poi non le presta soccorso. E’ sufficiente che la vittima chieda alla Polizia giudiziaria di punire il colpevole, senza che sia necessario un atto scritto, specie se le sue condizioni sono gravi e richiedono l’intervento dei medici. Lo sottolinea la Cassazione condannando un marito per lesioni colpose e omissione di soccorso alla moglie che prima di essere operata aveva chiesto ai carabinieri di punirlo per averla ridotta così. 

    Senza successo, l’imputato – Sergio F. di 40 anni, calabrese di Rossano condannato dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2016 – ha sostenuto in Cassazione di non poter essere condannato (l’entità della pena non è nota) dato che non era stato acquisito alcun atto “dal quale emerga la volontà della persona offesa di querelare il proprio coniuge”. I supremi giudici hanno esaminato tutte le carte processuali e hanno rilevato che la documentazione accertava che sua moglie, Antonella G., aveva “rappresentato alla Polizia giudiziaria la volontà di querelare il coniuge, manifestando la richiesta di punizione del colpevole”. Ad avviso degli ‘ermellini’, i giudici di merito hanno affermato “con motivazione ineccepibile, che la richiesta di punizione fosse stata chiaramente espressa dalla persona offesa ai carabinieri, che l’avevano riportata nel verbale di denuncia a sommarie informazioni”. Anche il Tribunale, ricorda la Cassazione, “aveva espresso conforme valutazione richiamando la richiesta della persona offesa che il colpevole fosse punito”.

    Per la Suprema Corte, correttamente i magistrati calabresi “hanno motivato il loro giudizio valutando il contesto in cui tale manifestazione di volontà era stata raccolta: presso l’ospedale di Corigliano” prima che Antonella G., arrivata in gravi condizioni e senza che il marito l’avesse accompagnata dopo averla ridotta così, “fosse trasferita in altro nosocomio per essere sottoposta ad intervento chirurgico”. “Date le circostanze del caso – riassume il verdetto – i giudici di merito hanno ritenuto che essa fosse valida manifestazione della volontà di querelare l’imputato, ancorchè non formalizzata in un vero e proprio atto di querela, qualificandola come querela proposta oralmente”.

    La sentenza non spiega la dinamica dei fatti, osserva solo che la donna era stata ferita in modo colposo dal marito che poi non le aveva prestato soccorso, nè tantomeno accompagnata all’ospedale. Dando il via libera alla validità delle querele ‘orali’, la Cassazione afferma che “nel caso in cui l’atto venga redatto dalla polizia giudiziaria che raccoglie le dichiarazioni della parte, la volontà della persona offesa deve essere esplicita, ancorché non ritualizzata in forme sacramentali, ovvero desumibile da espressioni interpretabili quali manifestazioni di volontà di perseguire l’autore del fatto”. Tanto basta per processare e condannare il colpevole senza dargli modo di fare ‘eventuali’ pressioni sulla vittima per evitare che presenti una querela scritta.

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