Federico Buffa presenta il suo spettacolo: ‘Alì fenomeno senza pari’

Il giornalista story teller domani sul palco del Politeama con a Night in Kinshasa sulla sfida tra Clay e George Foreman. ' Un racconto che muta, nel ritmo, ad ogni replica. Ci sarà da divertirsi'

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    Ci sono calciatori molto bravi, che dopo aver appeso le scarpette al chiodo diventano grandi allenatori e poi anche dirigenti di valore. Un caso fra tanti: Johan Cruyff. Uno dei “geni del pallone” peraltro narrati per Sky da un certo Federico Buffa. Sì, proprio quello famoso che domani sera sarà di scena al Politeama con “A night in Kinshasa”: la storia dell’incontro del secolo fra l’immenso Muhamed Alì e George Foreman. Un match romanzesco, diventato leggenda. Non c’è infatti necessità di specificare la disciplina agonistica o i protagonisti quando si fa riferimento a Zaire ’74 (riprova su Google), perché chiunque ne ha sentito parlare. Merito di Cassius Clay, che “trasformatosi” in Alì ha fatto la storia. Non solo della boxe. D’accordo sul punto l’avvocato, tramutatosi anch’egli in commentatore del basket italiano e statunitense per radio e Tv oltreché in manager di cestisti e in storyteller di incredibile successo. Buffa, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni, il quale su Alì e lo spettacolo che illustra in modo magistrale la notte di Kinshasa dice: “Mi sono occupato di miti assoluti di varie competizioni, ma Muhamed non ha pari. È un simbolo rimasto sulla breccia per oltre 50 anni, più di un predicatore o di un leader politico, che per aver portato all’attenzione del mondo intero convinzioni personali, credo religioso e diritti dei neri, avrebbe potuto beccarsi una pallottola in testa al pari di altri sostenitori dei diritti civili. E invece non è successo. Come mai? Era troppo amato dalla gente. Ha dato emozioni uniche e persino chi lo osteggiava non ha avuto l’ardire di spegnerne la voce libera e genuina”.

    L’esibizione del Politeama è molto attesa. Il pubblico di uno dei teatri più importanti della Calabria e del Sud Italia si aspetta tanto da questa serata.

    “Se voleva mettermi pressione, sappia che ci è riuscito. Ma, pur senza sbilanciarmi, prometto che ci si divertirà. Sa, si tratta di un racconto che muta ogni volta. Non nel senso della trama narrativa, ovviamente, bensì nel ritmo. Un elemento fondamentale, scandito dai maestri Alessandro e Sebastiano Nidi, padre e figlio, che mi accompagnano al piano e alle percussioni. Bene, a riguardo anticipo che quando accelerano sono costretto a stargli dietro così come se invece rallentano. E il bello è che non lo concordiamo prima. Tutto dipende dalle percezioni che hanno al momento. Senza contare le tante battute cambiate o improvvisate durante la performance”.

    Ma da dove arriva un fenomeno come lei, capace di portare il teatro sul piccolo schermo con un’operazione a cui i critici e gli spettatori hanno in modo unanime e concorde – fatto rarissimo – impresso una sorta di bollino di qualità di cui andar fieri?

    Mi consente un commento umoristico? Dalla difficoltà di spiegare a papà come potessi abbandonare la carriera forense per inseguire un sogno: commentare da professionista la mia adorata pallacanestro. Ho cominciato così, giovandomi anche dell’amicizia di un giornalista del calibro di Flavio Tranquillo. Insieme abbiamo iniziato alla radio per poi trascorrere 20 anni gomito a gomito sull’emittente satellitare. Un sodalizio inossidabile durato dal 1994 al 2013, passando dal College Basketball alle finali Nba per l’Anello. C’è poi il ruolo fondamentale di Federico Ferri, attuale direttore di Sky Sport, a cui va il merito dell’avventura da narratore. Me lo propose ed ioesordì con Maradona, un’operazione carbonara. Niente prove o preparazioni particolari, una roba cotta e mangiata, nella mia testa la prima e ultima del suo genere. Ma non fu così, perché poi mi chiesero di preparare qualcosa per la Shoah. Io allora narrai la vita di Arped Weisz. Chiuso qui, pensai, e invece Veronica Baldaccini della redazione della stessa Sky, dopo una chiacchierata, mi convinse su quale fosse per me il vero futuro professionale. Aveva ragione”.

    Solo questo, non c’è altro?

    Lei è molto curioso; però in effetti dell’altro c’è. Qualche tempo prima di iniziare il nuovo percorso, Ferri non era ancora il “capo” e capitò allora che sfumò il progetto comune di inviarmi alle Olimpiadi per commentare la pallacanestro. Ma l’ottimo Federico non si perse d’animo e mi portò al Mondiale, pur non facendo io il calcio in Tv, proprio con le mie storie, che avevo realizzato “embrionalmente” per la Radio Svizzera”.

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