Operazione Crisalide, il terrore a Lamezia: Facciamo Falcone e Borsellino’

Gratteri sull'arresto delle nuove leve: "Azzerata la cosca". Luce su decine di intimidazioni. Gli interessi sulle elezioni comunali

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    di Antonio Capria
     
    Si stavano preparando a creare un clima di terrore, procurandosi armi da guerra ed esplosivi. “Bloccali tutti, a Lamezia facciamo Falcone e Borsellino”. Le conversazioni intercettate, che hanno indignato gli inquirenti, mostrano un atteggiamento spavaldo, spregiudicato, che fa emergere la pericolosità delle nuove leve della cosca Torcasio-Cerra-Gualtieri, una consorteria che da generazioni controlla il territorio lametino, in particolare le zone di Nicastro e Capizzaglie. In cinquantadue, età media 25 anni, sono finiti in manette all’alba di oggi grazie all’imponente operazione “Crisalide” coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro e portata a segno dai carabinieri del Reparto Operativo del Comando provinciale di Catanzaro guidati del tenente colonnello Alceo Greco, insieme ai militari del Nucleo investigativo al comando del capitano Fabio Vincelli, a quelli della compagnia di Lamezia Terme e con il supporto dei Cacciatori. 

    “La cosca è stata azzerata”, ha assicurato in conferenza stampa il procuratore capo Nicola Gratteri.  

    Al vertice del sodalizio Antonio Miceli, che dopo il colpo dato alla cosca dall’operazione Chimera nel 2014 ha ricevuto il testimone da Teresina Cerra, sorella del boss Nino e considerata la mente della famiglia. Dopo gli arresti Miceli, sposato con la nipote di Teresina Cerra, rientrò dalla Germania e durante un colloquio in carcere con l’anziana capocosca registrato dalla polizia giudiziaria, diede disponibilità ad occuparsi degli affari di famiglia. Un episodio riferito dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri che ha coordinato l’inchiesta insieme al sostituto Elio Romano. 

    Nel loro decreto di fermo sono contestati centinaia di capi d’imputazione, oltre 600 fatti criminosi meticolosamente riscontrati dai carabinieri. Non solo il controllo  del mercato della droga, con cui le nuove leve hanno iniziato ad imporsi sul territorio, ma un’attività estorsiva che non conosceva sosta: bottiglie incendiarie, esplosioni, minacce siglate da proiettili e bigliettini. Tutto seguito attraverso l’attività tecnica dai carabinieri. Il comandante provinciale dell’Arma Colonnello Marco Pecci ha evidenziato che sono stati ventuno gli atti intimidatori su cui si è fatta luce. Tra questi anche quello contro il panificio Angotti, e quelli contro la comunità Progetto Sud di don Giacomo Panizza, a dimostrazione che la giovane consorteria voleva imporsi come “antistato”, a prescindere dall’effettivo ritorno economico degli atti intimidatori, come ha spiegato il comandante della Compagnia lametina tenente Pietro Tribuzio. 

    E per rafforzare il controllo del territorio gli appartenenti al clan sono intervenuti nell’ultima campagna elettorale per le comunali, assicurando sostegno ad alcuni candidati. Uno di questi è stato ripreso dai carabinieri mentre, con il cappuccio calato  sul volto, incontrava alcuni esponenti del clan. 

    Con quelli di oggi arriva a un centinaio il numero degli arrestati a Lamezia dall’inizio dell’anno: magistrati e forze dell’ordine insistono nel chiedere fiducia e collaborazione ai cittadini, che continuano però a non denunciare le richieste estorsive. 

    L’esito dell’indagine – è stato rimarcato in conferenza stampa – è il frutto della sola capacità investigativa, dell’impegno e del sacrificio degli inquirenti. 

    Ma nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci in cui persero la vita Giovanni Falcone e gli agenti della sua scorta, “il loro testimone è stato raccolto – ha detto il comandante regionale dei carabinieri generale Vincenzo Paticchio – ed è stata restituita la libertà ai cittadini”.

     

     

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