‘Quel carcere in mano alla ‘ndrangheta’

Agenti di polizia penitenziaria infedeli facevano avere ai detenuti soldi, droga e alcolici. Gli appartenenti al clan si sceglievano le celle con vista sulla strada e mandavano i propri messaggi all'esterno. Gratteri: 'Chi doveva controllare non lo ha fatto' 

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    di Antonio Capria

    C’è uno Stato che riesce a fare pulizia al suo interno, a fermare le mele marce. Ma anche uno Stato che non vede e non interviene, per pigrizia o forse per collusione. L’operazione condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Cosenza con il coordinamento della Procura antimafia di Catanzaro ha il valore simbolico del Giano Bifronte: il dio degli inizi e delle sacre porte, che guardando al passato apre il cammino verso il futuro.  Il passato, appunto, è quello che ha consentito per un decennio ai detenuti delle cosche “Lanzino-Ruà-Patitucci”,  “Bruni-Zingari” e “Rango-Zingari”  di avere piena libertà di manovra all’interno del carcere di Cosenza.

    Soprattutto i personaggi di maggiore caratura potevano godere dei benefici che sarebbero stati assicurati dalle guardie penitenziarie Luigi Frassanito e Giovanni Porco, e da un terzo indagato nel frattempo andato in pensione, che sarebbero stati ricompensati con denaro proveniente dalla bacinella della cosca, ma anche con regalìe e favori personali.

    Gli appartenenti al clan potevano riunirsi tutti insieme nelle celle, ricevere soldi, droga nascosta nelle palline da tennis, farsi consegnare alcolici, manicaretti e quant’altro potesse rendere più confortevole il loro soggiorno al “Grand Hotel” del carcere di Cosenza. Gli ospiti privilegiati erano liberi di scegliere di soggiornare nelle celle con vista sulla strada pubblica, non venivano sottoposti a perquisizioni, venivano avvisati delle attività di verifica pianificate nei loro confronti, riuscivano a celebrare riti di affiliazione, ma soprattutto erano messi in condizione di comunicare tranquillamente con l’esterno: utilizzavano infatti gli stessi agenti per inviare messaggi ai loro sodali, anche attraverso la consegna dei classici pizzini, ora per sviare indagini in corso su omicidi, ora per impartire disposizioni sull’attività estorsiva, ora per recuperare i crediti per la cessione di stupefacente, ora per fare filtrare notizie sui detenuti pronti a collaborare con la giustizia.

    Le due guardie sono finite in carcere con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip massimo Forciniti su richiesta del procuratore capo Nicola Gratteri e del sostituto Camillo Falvo che ha coordinato le indagini dell’Arma, che hanno tenuto conto anche delle testimonianze concordanti di nove collaboratori di giustizia.

    “Era una indagine che sarebbe dovuta partire molti anni fa perché basata su informazioni già contenute in molti fascicoli”, ha rimarcato il procuratore Gratteri, ponendo anche l’attenzione su chi nel tempo ha omesso i controlli e ha consentito una gestione allegra dei detenuti. Una situazione che ha messo a rischio i tanti agenti onesti, fatti oggetto di ritorsioni e minacce.

    “Ci sono tante anomalie e tante omissioni da parte di tanti. Quello che piu’ mi fa rabbia – ha aggiunto Gratteri – è il fatto che si sia consentito a detenuti ‘ndranghetisti di Cosenza di restare per anni a Cosenza: qual è stata la logica di tenere pericolosi ‘ndranghetisti di Cosenza nella stessa città? Con questa operazione non solo informiamo l’opinione pubblica che non guardiamo in faccia a nessuno ma – ha sostenuto il capo della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro – portiamo all’attenzione il fatto che chi era preposto al controllo e doveva intervenire, cioè tutta la struttura gerarchica del dipartimento penitenziario, doveva intervenire ma non è intervenuto”. Gratteri ha poi osservato: “Mi auguro che questi arresti servano a costringere chi di dovere, dal direttore del carcere di Cosenza al direttore del Dap, a intervenire per fare un po’ di ordine, quantomeno nell’applicazione dell’ordinamento penitenziario, in modo che detenuti di alta sicurezza della stessa area criminale stiano a mille chilometri di distanza gli uni dagli altri e da Cosenza”.

    A prendere parte alla conferenza parte anche il comandante provinciale dell’Arma di Cosenza col. Piero Sutera, il comandante del Reparto Operativo ten. col. Michele Borrelli e il comandante del nucleo investigativo cap. Giuseppe Sacco. 

     

     

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