‘Ndrangheta, confiscati beni per 7 milioni a imprenditore

Condannato per concorso esterno,  sarebbe il collettore delle risorse in Lombardia


Beni per 7 milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia di Reggio Calabria a Roberto Morgante, di 60 anni, di Villa San Giovanni, imprenditore nel settore edilizio ed attualmente detenuto. L’uomo era stato arrestato nell’operazione “Tibet”, coordinata dalla Dda di Milano e condotta dalla Squadra mobile milanese con l’apporto della Dia reggina che seguiva Morgante in un’altra indagine.

Per l’accusa, l’imprenditore era rappresentante e collettore di risorse economiche di cosche reggine coinvolte nelle attività gestite in Lombardia e, in particolare nel “Locale” di Desio (Monza e Brianza), dalla cosca allora capeggiata da Giuseppe Pensabene. L’uomo è stato poi condannato, con sentenza passata in giudicato, a 6 anni e 10 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. La Cassazione aveva però annullato con rinvio la sentenza per la confisca dei beni. Con il provvedimento di oggi, il Tribunale di Reggio Calabria, ha ritenuto l’imprenditore portatore di pericolosità sociale.

Le indagini della Dia, sotto il coordinamento del procuratore distrettuale di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e del procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci, hanno quindi portato alla confisca di 4 società operanti nel settore edilizio e del commercio all’ingrosso e dettaglio di articoli per impianti idro-termo-sanitari; 26 immobili a Reggio Calabria e Villa San Giovanni; numerosi conti correnti, polizze e dossier titoli per un valore di circa 2,6 milioni di euro.

Il Tribunale di Reggio, sezione misure di prevenzione, nel provvedimenti di confisca afferma che Morgante rappresenta la figura dell’imprenditore “colluso” con la criminalità organizzata “ossia dell’imprenditore che entra in un rapporto sinallagmatico con l’associazione mafiosa tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti”, ritenendo inoltre che il patrimonio dell’imprenditore e dei suoi stretti congiunti “debba ritenersi il frutto o il reimpiego di proventi di attività illecite”. Per il Tribunale, inoltre, il successo imprenditoriale di Morgante è da attribuire al condizionamento esercitato nel territorio di riferimento dalla ‘ndrangheta, che, attraverso il metodo mafioso, gli ha assicurato illecitamente una posizione di preminenza sul mercato.