Archeologia, anche il catanzarese Russo dietro al grande Progetto Pompei

Alessandro Russo da tempo lavora come consulente esterno del Mibact direttamente in prima linea tra gli scavi

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    Dietro il Grande Progetto Pompei – coordinato dal direttore generale Massimo Osanna e dai funzionari archeologi, architetti e restauratori – che in questi anni ha rilanciato l’immagine del sito archeologico in tutto il mondo, c’è anche un archeologo catanzarese, Alessandro Russo, che da tempo lavora come consulente esterno del Mibact direttamente in prima linea tra gli scavi. Trentotto anni, laureato in conservazione dei beni culturali a Napoli, specializzato in archeologia classica a Salerno, conseguito il dottorato in lingue del Mediterraneo antico a Milano, Alessandro ha iniziato la sua storia quindici anni fa a Pompei, quando era ancora studente, e nell’ultimo biennio ha partecipato attivamente ai lavori di scavo della Regio V. Lì dove, in questi giorni, è stata data notizia dell’ultima straordinaria scoperta del termopolio, il “fast-food” di un tempo, riemerso con i suoi affreschi e tutti gli attrezzi da cucina. C’era anche il suo volto nel documentario “Pompei ultima scoperta”, andato in onda con immagini esclusive su Rai2 registrando il record d’ascolti.

    Il percorso di Alessandro in Campania è iniziato nel 2014: “La mia attività è partita con la messa in sicurezza e la regimentazione idrica dei fronti di scavo, poi è proseguita con i lavori per l’azzeramento delle barriere architettoniche che hanno permesso a tutti di attraversare le strade da Porta Marina fino all’anfiteatro. Poi nel 2018 ho preso parte alle attività del deposito archeologico dello scavo della Regio V: ricevevo dalle squadre di operai, impegnate negli scavi, tutti i reperti da inventariare, lavare, siglare e sistemare nelle cassette in attesa di restauro. Tanti oggetti di uso comune nelle case, ma anche molti frammenti di affresco divelti durante l’eruzione, oppure ritrovati dagli scavatori clandestini nel ‘700 e ‘800, pezzi che saranno ricomposti per il museo o nei luoghi originari”.

    Pompei, anche durante il lockdown, è rimasta un cantiere a cielo aperto, racconta Alessandro, ed è continuata la manutenzione ordinaria per restituire a Pompei un volto nuovo quando si potrà riaprire al pubblico. “Abituato a frequentarla da quando ero studente, vederla vuota fa impressione, sembra una città morta. Eppure il nostro lavoro non si è mai fermato, i lavori di restauro del termopolio e degli altri cantieri attivi sono ancora in corso e le nuove scoperte potranno essere presto visitabili. Sono pronti anche altri scavi, come la messa in sicurezza e l’apertura dell’insula occidentalis e del piccolo cuneo, da dove emergeranno nuove unità abitative. E’ proprio la manutenzione costante di tutti giorni a garantire la sopravvivenza anche delle piccole cose”.

    Un lavoro fondamentale, quello di chi sta dietro le quinte, che a Pompei rappresenta davvero un unicum: “Qui collaborano restauratori, archeologi, architetti, geologi, ma anche tante professionalità il cui ausilio è stato reso possibile dalla progettazione europea, come l’antropologo, il paleobotanico, l’archeozoologo, che studiano la flora e la fauna antica. Erano molti anni che non si scavava portando alla luce nuovi ambienti cristalizzati al ‘79 dc, l’anno dell’eruzione, e oggi i dati che si possono raccogliere sui corpi, sui vasi o sulle anfore, possono dirci molto di più. Anche i rilievi 3D offrono un patrimonio di conoscenza accessibile a tutti, le nuove tecnologie ci aiutano a ricostruire la microstoria delle persone e Pompei, in tal senso, è un unicum che richiama l’attenzione del mondo”.

    Alessandro Russo non dimentica la sua terra a cui è rimasto sempre legato, seppur con un po’ di amarezza nel cuore: “Ho lavorato di recente al progetto di riallestimento del Museo archeologico provinciale – spiega – così come continuo a firmare diverse valutazioni di rischio archeologico. Non ho mai lasciato la Calabria. Quello che posso dire è che la nostra terra possiede tanti tesori ancora inesplorati: la vicina Scolacium attende di scoprire come erano fatte le abitazioni, ma gli scavi hanno bisogno di una tenuta a lunga distanza, di un restauro costante, altrimenti meglio non pensarci proprio”.

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