Squillante…Squillante… chi era costui?

L’antica Scolacium tradotta nell’odierna Squillante, nell’articolo di Sette, supplemento del Corriere della Sera. E non è la sola imprecisione nell’articolo che esalta il MGFF

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    di Lello Nisticò
    Il sindaco Sergio Abramo e l’assessore al Turismo Alessandra Lobello ne sono giustamente orgogliosi: vedere lodare Catanzaro e lo Jonio sulle pagine di “Sette”, supplemento settimanale del Corriere della Sera, in un articolo di Enrico Caiano intitolato “In Magna Graecia tra grandi registi, mare e misteri” fa indubbiamente piacere, perché da un lato si rende omaggio alle bellezze naturali che il buon Dio ci ha regalato, e quindi non ascrivibili al merito di questa o quella amministrazione, e dall’altro, facendo riferimento all’opera festival di Gianvito Casadonte, rende giustizia a una bella intuizione del suddetto e alla fiducia e al favore che gli ha sempre accordato l’amministrazione presente.

    Però non si può leggere, e non si può evitare di rilevare come nell’articolo ci siano perlomeno due errori macroscopici. Parlando della Magna Graecia, che l’autore, bontà sua, riconosce non essere “solo la Sicilia”, cita l’antica Scyllaceum, identificandola nell’odierna “Squillante”. Che, notoriamente, non esiste, perlomeno sulla costa ionica. Si dirà che è colpa del correttore automatico, gioia e dolori dei software di scrittura. E va bene. Però, partendo dal principio che all’approssimazione non ci si deve mai rassegnare, e quando i grandi giornali parlano della Calabria spesso succede, ecco che l’articolo ci ricasca quando, a proposito dei misteri ricordati nel titolo e ribaditi nel catenaccio – “Poi le rovine di Solacium (sic) e due strane storie della Sila” – ci si accorge che non della Sila si parla, ma di Serra San Bruno e delle vicende legate a Ettore Majorana e al pilota dell’Enola Gay che qualcuno ha voluto rifugiati nella Certosa.

    Questo è quanto, per la precisione. Finire sul Corriere per fatti inerenti alla cultura, al territorio e allo spettacolo è bello. Però pretendere meno disinvoltura è lecito. Anche perché non è la prima volta che capita, e anche con frequenza ravvicinata. L’ultima volta capitò qualche settimana fa con il servizio di Linea Verde per Rai Uno sul Parco della Biodiversità, spostato “a pochi chilometri da Catanzaro” e con notevoli confusioni nella paternità delle installazioni artistiche. Anche allora in molti manifestarono soddisfazione ed espressero plauso senza correggere. Vuol dire che ci rassegniamo a farlo noi. I soliti correttori. Non automatici.

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