Gli effetti speciali della vita di John Savage ospite oggi della masterclass del Mgff foto

"Sono molto contento di essere qui, la Calabria è una nuova esperienza, non è Roma ovviamente, ma leggo la sua storia sui muri"

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    «Sono  molto contento di essere qui. Questi festival sono belli, portano tanta gente a vivere le stesse emozioni, a fare la stessa esperienza. E’ come quando entri in chiesa e preghi. Lo stesso vale per il teatro e il cinema: vivi e condividi le tue esperienze». John Savage è un fiume in piena, questa sera, al complesso monumentale San Giovanni. Gli piace parlare e, forte della sua lunga carriera, ma anche di una vita iniziata prestissimo – ha dichiarato di aver iniziato a leggere a 3 anni -, di cose da raccontare ne ha tante. Senza neanche bisogno che la sua interlocutrice e curatrice della sezione dedicata alle opere prime e seconde internazionali, della cui giuria Savage è presidente, Silvia Bizio gli faccia domande, John Savage comincia il suo racconto intrecciando l’italiano che conosce e che gli permette di essere di essere compreso anche da chi non ha dimestichezza con la lingua.

    «Vedere un film, per un’ora e mezza, vedere conflitti drammatici, ti permette di capire quante cose sono possibili nella vita, perché vedi tanti rapporti, violenze, malattie – dice sulla sua idea di fare film -. Con i tanti film che vedo capisco che non è impossibile dimenticare tutti questi problemi, capisci che aiuti il pubblico a condividere la vita e ti senti meglio. Un film non è facile, è il lavoro di tante persone, ma quando crei un’opera d’arte, non è difficile percepirsi tutti insieme».

    Non tutti sanno che Savage in realtà ha mosso i primi passi nella musica: aveva una bella voce, da opera, due insegnanti ne parlarono coi genitori che gli permisero di conoscere due cantanti italiani, che gli insegnarono prima di tutto a rilassare la voce, il belcanto, ma anche il rock’n’roll di Elvis. E lui, per dimostrarci che è tutto vero, intona “O del mio dolce ardor” di Gluck, rivelando una voce molto potente – seppure fuori esercizio -, con una pronuncia mica male.

    «Adolescente, cantavo nel coro, poi nei club, mi divertivo anche se mi mettevano sempre con i tenori, con gli adulti – racconta -. Ho cominciato ad avere successo con le donne, la mia vita era così e sono andato Broadway. Qualcuno mi propose di fare teatro, di recitare. Pensavo di non esserne portato, ma mi spiegarono che il teatro e il cinema non sono solo recitazione, ma parole, sceneggiatura. E in effetti il film si può fare avanti e indietro, cominciando dalla fine, è una tecnica che si sviluppa ogni giorno».

    Molto del cinema che Savage ha fatto – sono 179 i film secondo Idbm -, è di guerra. L’attore spiega che il padre gli ha spiegato la sofferenza dell’essere e vivere una guerra: militare, lo accompagnava a visitare i veterani e ancora oggi la sua sensibilità gli fa riconoscere il dolore di quei soldati che tornano a casa dopo anni trascorsi in battaglie: «Ricordo che molti degli amici di mio padre venivano a trovarlo – racconta -, e stavano lì a bere qualcosa e parlare. Ce n’era uno che piangeva, era un veterano della guerra di Corea. Adesso l’America è cambiata molto».

    Parte, nel suo racconto, dai primi anni di vita, non facili per un bambino che aveva tanti problemi di salute, unico gemello sopravvissuto al parto – sua sorella non ce la fece -, che fu addirittura costretto a vivere nel polmone d’acciaio. Questa solitudine gli permise di leggere tantissimo, e a cinque anni, aveva già letto Jung – sì, lo ha detto, proprio Carl Jung -, e libri per persone adulte. E insieme ai film che vedeva al cinema – quelli con i sottotitoli, che arrivavano dall’estero-, poté conoscere il mondo.  «Ho ancora quella sensazione delle realtà in cui mi portavano questi libri, a differenza degli altri più adatti alla mia età – aggiunge -. Oggi con la tv, i computer, siamo esposti a molti più film e i bambini di oggi assorbono e sentono le sensazioni soprattutto che questi film trasmettono: non bisogna solo lasciarli a guardare senza pensarci. Sono vulnerabili quando guardano la Tv».

    «Sono molto contento di essere qui, la Calabria è una nuova esperienza, non è Roma ovviamente, ma leggo la sua storia sui muri – conclude -. Mi piace la bellezza di questo paese, lo spirito che c’è.  Vedere film internazionali qui mi fa sentire come siano storie ed esperienze diverse da quelle con cui io ho iniziato il mio rapporto con il cinema. Mi piacerebbe però vedere più film in italiano, coi sottotitoli, negli States».

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