Operazione antimafia ‘Ghibli’, confermate in appello le dieci condanne emesse

I fatti risalgono al  20 aprile 2009, furono eseguiti 20 ordini di custodia cautelare in carcere e numerosi sequestri per un valore di 30 milioni di euro

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    La Corte d’assise d’appello di Catanzaro ha confermato oggi dieci condanne emesse in primo grado a carico di presunti affiliati ai clan di ‘ndrangheta del Crotonese coinvolti nell’operazione antimafia denominata “Ghibli”. Si tratta, in particolare, di dieci delle quindici persone che hanno scelto il giudizio abbreviato conclusosi, il 30 luglio 2010, con quattro assoluzioni totali e undici condanne, che le difese hanno poi impugnato. A quelle impugnazioni segui’ un primo giudizio d’appello conclusosi l’8 agosto del 2011 con sette condanne ribaltate in assoluzioni, e quattro sconti di pena per i restanti imputati.

    La pubblica accusa ha presentato a quel punto ricorso in Cassazione, ed il Giudice supremo alla fine ha annullato la prima pronuncia d’appello, rinviando gli atti a Catanzaro per un nuovo processo di secondo grado nell’ambito del quale, oggi, i giudici (presidente Fabrizio Cosentino, a latere Gianfranco Grillone) hanno accolto la richiesta del sostituto procuratore generale, confermando le condanne a carico dei dieci imputati per i quali si e’ svolto l’appello bis. In particolare: Giuseppe Arena, condannato a 10 anni in primo grado; Pasquale Arena (6 anni in primo grado); Paolo Lentini (10 anni); Nicola Lentini (6 anni); Francesco Gentile (10 anni); Tommaso Gentile (6 anni); Maurizio Greco (6 anni); Giuseppe Lequoque (6 anni); Antonio Morelli (6 anni); Luigi Morelli (6 anni). Nel processo hanno preso parte anche diversi enti pubblici, costituiti parte civile, cui il giudice dell’udienza preliminare che celebro’ gli abbreviati aveva gia’ riconosciuto corposi risarcimenti: 250.000 euro alla Regione Calabria, 200.000 euro alla Provincia di Crotone; 150.000 euro al Comune di Isola Capo Rizzuto.

    L’operazione “Ghibli” scatto’ la notte del 20 aprile 2009 tra la Calabria e l’Emilia Romagna per l’esecuzione di 20 ordini di custodia cautelare in carcere e numerosi sequestri per un valore di 30 milioni di euro, al culmine dell’inchiesta diretta a ricostruire la sanguinosa guerra fra gli Arena ed i Nicoscia. L’ottobre seguente l’inchiesta si concluse con un avviso di conclusione delle indagini emesso a carico di 38 persone dall’allora sostituto procuratore antimafia Sandro Dolce, che ha coordinato le investigazioni condotte dal Ros dei carabinieri. L’inchiesta ha consentito di contestare complessivamente l’associazione mafiosa e numerosi reati connessi – soprattutto in tema di armi, nonche’ di riciclaggio ed intestazione fittizia di beni -, tra i quali l’omicidio di Pasquale Nicoscia, che sarebbe stato la risposta al precedente assassinio di Carmine Arena, a sua volta ucciso in un attentato portato a termine con l’uso di un bazooka, a seguito del quale rimase gravemente ferito anche Giuseppe Arena, nipote del primo; ed il tentato omicidio di Domenico Bevilacqua, piu’ noto come “Toro seduto” e considerato uno dei capi della criminalita’ zingara catanzarese, uscito illeso da un agguato che avvenne a Catanzaro Lido il 4 aprile del 2005, secondo gli investigatori come “punizione” per i tentativi di Toro seduto di rendersi autonomo rispetto alla cosca catanzarese, storicamente sottoposta agli “Arena”.

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