‘Signor sindaco voglio solo vivere in maniera dignitosa’

Lettera aperta di una disabile al sindaco di Reggio Calabria Falcomatà

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    “Egregio sindaco sono una persona disabile dalla nascita. Qualche mese fa è venuto a mancare mio marito Filippo, disabile anche lui. Negli ultimi venti anni io e Filippo abbiamo lottato invano contro tutte le Amministrazioni che si sono succedute, i vari assessori e dirigenti di settore, per chiedere il riconoscimento del diritto a vivere dignitosamente in un’abitazione idonea alla nostra condizione fisica. Ora stanca da tanto attesa mi rivolgo nuovamente a lei”. Lo scrive la signora Gisella Raso in una lettera aperta a Giuseppe Falcomatà. “Mio marito – afferma – è morto di cancro ed era, come me, disabile al 100% in carrozzina per i postumi della poliomelite. Non ha mai lavorato per la sua condizione di disabilità e quindi non ha mai maturato contributi previdenziali. Io sono la vedova e per lo Stato non ho diritto a nessuna reversibilità. Alla nostra famiglia, composta di quattro persone, abbiamo due figli, è stata assegnata nel 2006 una casa popolare al primo piano senza ascensore e per giunta di 67 metri quadri per cui con due carrozzine era invivibile e comunque irraggiungibile. Non siamo mai potuti entrate nella casa assegnataci. Abbiamo negli anni scritto e riscritto e spiegato a chiunque ci ascoltasse che la situazione era paradossale. Adesso però signor Sindaco, dopo aver aspettato mesi che si concretizzasse il suo impegno preso davanti a tutta un’assemblea nel gennaio scorso, le chiedo nuovamente aiuto. Lei assolutamente mi deve aiutare a risolvere il problema assegnandomi un alloggio decoroso”. “In queste condizioni – afferma la donna – non ho alcuna possibilità di sopravvivere. Ho bisogno dell’alloggio popolare con la massima urgenza perché a livello economico non posso più sostenere l’onere di pagarmi l’affitto. Sono stata istituzionalizzata per 21 anni della mia vita e le assicuro che la mia personalità ne è stata marchiata a vita. Ho il terrore di essere nuovamente rinchiusa in una casa di riposo. Il problema, drammatico, della mia situazione abitativa si trascina da oltre vent’anni e si è ulteriormente aggravato dopo la morte di mio marito e dopo la diffida del proprietario dell’immobile occupato al rilascio dello stesso. Senza Filippo che mi aiutava a superare in silenzio e dignitosamente le continue delusioni e le promesse mai mantenute, non ho più la forza di attendere pazientemente che succeda qualcosa, o che la vicenda si risolva da sola, magari con la mia morte. Io sono viva, anche se molto provata, e chiedo di poter vivere nel rispetto di quei diritti fondamentali della persona di cui tanto si parla, ma che poi sono così difficili da garantire”.

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