I sogni infranti della Catanzaro-politica

A partire dalle prossime Regionali, solo posti in piedi per il "Paradiso" 

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    di Danilo Colacino

    Che Catanzaro abbia perso ormai da tempo immemore la centralità a livello politico e socioeconomico in ambito calabrese, è una non notizia. Ma che la sua classe dirigente continui a non rendersene conto o, in alcuni casi, a far finta di non rendersene conto, è grave. Molto grave. La riprova nella formazione dei listini per le elezioni di domenica scorsa delle due coalizioni sconfitte, centrodestra e centrosinistra, che hanno lasciato davvero le briciole agli esponenti della città dei Tre Colli, dunque rimasti per lo più sprovvisti di “paracadute” e chances di ripescaggio. Assai particolare, a riguardo, il caso di taluni importanti partiti in cui i big di Cosenza sono opportunamente stati (dal loro punto di vista, sia chiaro) messi al riparo dalle brutte sorprese in cui sono invece incappati i loro colleghi del capoluogo. Eppure si tratta di rappresentanti che, malgrado qualche cambio di casacca recente o risalente nel tempo, hanno sempre compiuto un incessante lavoro sul territorio. Buono o cattivo non sta a noi giudicarlo (ci mancherebbe!), ma da osservatori dobbiamo dire che la loro presenza, e conseguente riconoscibilità, è incontestabile. Eppure, al di là degli inconfutabili successi ottenuti nel contesto catanzarese, oltre il Sansinato paiono non riuscire a trovare vera gloria. Basti pensare che pure le loro ripetute e schiaccianti affermazioni alle Regionali hanno sempre poggiato sulla solida base del consenso acquisito nel capoluogo e nell’hinterland, dato con cui dovranno fare i conti in caso di velleità per così dire extraterritoriali in un periodo di ripristino delle preferenze. Un assunto con cui confrontarsi, dunque, soprattutto se il partito – o le coalizioni – di cui sono espressione non li tiene in debita considerazione.

    Il problema dei big catanzaresi. È proprio su questo punto, del resto, che nasce il grosso problema di Catanzaro e dei suoi politici di punta. Dovuto a cosa? Semplice: tanto nel centrosinistra quanto soprattutto nel centrodestra locale si era iniziato a coltivare ambizioni di candidatura a governatore per conto dell’intero schieramento malgrado, relativamente a Forza Italia, la “fuga in avanti” dell’attuale sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Ma una città e una provincia fra le più azzurre d’Italia avrebbe ridato fuoco alle polveri dei forzisti dei Tre Colli, pronti – con un Piero Aiello senatore e un Mimmo Tallini deputato – a giocarsi (ma sarebbe più corretto dire rigiocarsi) la carta Sergio Abramo presidente. E non solo, dal momento che con tante “caselle libere” a scaldare i motori per arrivare – o tornare – a Palazzo Campanella erano anche i delfini aielliani e talliniani così come qualche giovane promessa pregustava – peraltro con largo anticipo sulla personale tabella di marcia – la possibilità di concorrere per la successione ad Abramo. Ma niente da fare, perché adesso sono rimasti pochi posti al sole e parecchi posti in piedi. Senza contare che l’effetto Cinque Stelle potrebbe farsi sentire anche alle latitudini calabresi. Certo, a riguardo, una serie di fattori dovrebbero però indurre a una maggiore cautela nelle analisi, dal momento che il voto locale – per così definirlo – è molto meno premiante nei confronti di candidati che gli elettori non conoscono a sufficienza e con cui hanno familiarità.

    Al di là di come andranno le regionali, cosa sarà allora della Catanzaro-politica? Prematuro sbilanciarsi in previsioni, ma dopo le sconfitte di Abramo nel 2005 e di Wanda Ferro nel 2014 un sospetto viene: la carica infusa dall’apicalità acquisita in seno alla Giunta o al Consiglio di Palazzo De Nobili non è sufficiente a varcare gli steccati cittadini. Spesso infatti c’è l’effetto Morzello, Orzata o Brasilena, con un prodotto d’eccellenza catanzarese che non trova sostegno o non ha il medesimo appeal riscontrati invece all’interno dei “confini patri”. Meglio dunque interrogarsi su questo.

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