Oliverio, una politica riformista da prendere a piccole D(r)osi

Dal presidente l’ultimo appello al Pd: «Siamo ancora in tempo ad evitare disastri»


di Lello Nisticò

La politica è sempre più una questione di storytelling. Lo sapevamo già, ma ieri nella sala concerti del Comune di Catanzaro l’ha ripetuto Donata Marazzo, giornalista che scrive per il Sole 24 Ore e cantrice della Calabria positiva, intervenuta alla presentazione del libro di Michele Drosi “Mario Oliverio – La sfida riformista di un presidente scomodo”

Storytelling, il racconto di storie. Volendo, anche in parole e musica. Chiamandole, se vuoi, emozioni. Perché in messaggio audio video interviene finanche Mogol. Qualcuno gli ha detto che circola questo libro. Sa che ci sono in giro persone che dicono cose cattive su di Oliverio, per ragioni che non fanno il bene della Calabria: «Me lo farò regalare, o lo comprerò, se in vendita. Lo leggerò con molta attenzione, perché credo che sia un libro molto interessante, di valore storico». E, in effetti, di storie ne avrebbe da raccontare, il presidente. E magari “le persone che ne parlano male”, potrebbero dire proprio così, che è uno che racconta storie, equivocando sul termine. 

Oliverio, tra le tante scovate da Drosi percorrendone la biografia, ne sceglie una, che lo riporta ai primordi della sua ascesa politica. Quando da giovane dirigente comunista della Sila Greca accompagna Enrico Berlinguer nelle due tappe calabresi, la prima a Cosenza, la seconda a Catanzaro, nel 1979. Seguita da una bella cena a base di pesce a Marina, e poi da una lunga passeggiata sul lungomare. L’anno successivo, 1980, si vota per le regionali. Da Roma lo vogliono candidare al Consiglio. Ma lui preferirebbe restare abbarbicato nella sua San Giovanni in Fiore, rifiutando più volte l’invito. Tanto che alla fine, questo “Capatosta” è convocato a Roma, alle Botteghe Oscure. Nelle stesse ore si tiene la direzione del Pci. Seduto in attesa nel corridoio, vede sfilare i numi tutelari del Pci di allora: Amendola, Ingrao, Natta, Berlinguer. Al termine della direzione, lo riceve Berlinguer. Che chiede le ragioni del suo diniego. Oliverio le espone. Berlinguer le ascolta, e poi gli elenca quelle per le quali, viceversa, deve accettare l’incarico che gli viene chiesto dal partito di Roma. Insomma, al compagno Berlinguer non si può dire di no. 

Passano gli anni, ma quaranta sono lunghi. Quel ragazzo ne ha fatta di strada: consigliere e assessore regionale, deputato, presidente della Provincia di Cosenza, presidente della Regione Calabria. La segreteria politica del suo partito non è più a Botteghe Oscure, ma a Largo del Nazzareno. E da Roma, per dire come è cambiato il mondo, non giungono più convocazioni, e se arrivano è per dirgli di farsi da parte.  
Valerio Donato e Marcello Furriolo, comprimari con Marrazzo Veltri Oliverio e Drosi del tavolo dei relatori, cercano una spiegazione al diniego ostinato da parte del Pd. Il primo, addirittura, parte da Aristotele, per difendere le ragioni della democrazia in politica: prima discutere, poi deliberare. Chi non lo fa, come sta succedendo nel Pd nella gestione del caso Oliverio, contravviene alle regole interne ma soprattutto alle ragioni fondanti della democrazia. 

Peccato che a un Dino Vitale che avrebbe voluto porre una domanda a Oliverio venga opposto un inflessibile no, con la scusa del tempaccio in allerta rossa. Il presidente se ne scusa di persona, non vuole farla apparire come una censura. Ma, realmente, il tempo stringe, e fuori ci sono lampi e tuoni. Meglio chiudere in fretta. Si fa per dire. Oliverio la tira un po’ lunga, quasi un’ora. 

E, alla fine, dice la cosa più interessante della serata, dal punto di vista dell’attualità politica

Dopo avere ricordato le tappe salienti del suo “riformismo”, nell’accezione che gli ha dato Drosi di concretizzare gli impegni presi, e quindi, solo come esempio, i fondi europei per i quali la CE ha riconosciuto la premialità di 140 milioni, la messa in sicurezza delle scuole dal rischio sismico, la copertura del 100 per 100 degli assegni per il diritto allo studio gli studenti universitari, i fondi per l’ammodernamento della ferrovia ionica. Dopo aver detto ciò, e illustrato la fallacia e l’incomprensibile abiura di Zingaretti e l’inconsistenza razionale delle azioni del commissario Graziano, e dopo avere toccato il punctum dolens della sanità, del commissariamento, del decreto Calabria, fino all’affidamento della chirurgia al protettorato veneto. 

Solo allora, commentando i risultati di Lamezia Terme, in cui risalta la sconfitta del candidato del Pd e la débâcle del M5S: «Stiamo parlando del futuro di una Regione, non di quello di Mario Oliverio. Alla data dell’11 novembre dov’è la proposta? Vedo solo uno splendido isolamento del Pd. E mentre  l’alleanza che si è ritrovata intorno alla mia candidatura è la stessa del 2014, quella mostrata da Graziano con qualche esponente della vecchia diaspora di Rifondazione riporta a un isolamento preoccupante. È assurdo che si rimuova l’esperienza di governo, che è stata la mia ma anche del Pd. C’è un problema di responsabilità verso la Calabria, che deve essere esercitata da tutti. Credo che ancora siamo in tempo ad evitare disastri. Evitando di scimmiottare e di proporre fusioni dall’alto che sono assolutamente prive del sostegno della ragione. Il lavoro che abbiamo fatto è stato importante e sarebbe un danno enorme metterlo tra parentesi per ritornare indietro, un danno non per Mario Oliverio ma per la Calabria».