Morte sul lavoro, la Procura chiede il processo per il titolare dell’azienda

Sarebbe stato lui a guidare un muletto che ferì gravemente un suo dipendente, morto a seguito delle ferite riportate

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    Un incidente mortale sul lavoro. Ma il titolare di un’azienda agricola di Gimigliano aveva riferito che l’uomo, Roberto Mancuso, era morto perché travolto da un mezzo che stava guidando lo stesso malcapitato, suo dipendente. In realtà, secondo quanto ricostruito dalla Procura, a guidare quel maledetto muletto sarebbe stato proprio il titolare, Antonio Muraca 35enne di Cicala.

    Per questo oggi la Procura della Repubblica di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per lo stesso Muraca con l’accusa di omicidio colposo per la vicenda della morte di Mancuso, il quarantaduenne di Sorbo San Basile, nel Catanzarese, deceduto proprio in seguito a un infortunio avvenuto presso l’azienda agricola Muraca.

    Muraca secondo il Pm avrebbe causato la morte del suo malcapitato dipendente “per grossolana e macroscopica imprudenza, negligenza e imperizia”, per usare le parole del Pubblico Ministero, impartendogli un ordine che l’ha esposto a un pericolo gravissimo, purtroppo concretizzatosi.

    Gli anziani genitori e alcuni fratelli della vittima, che ha lasciato anche la moglie e quattro figli, attraverso il consulente personale dott. Giuseppe Cilidonio, si sono affidati e sono assistiti da Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. In relazione alla richiesta di rinvio a giudizio da parte del Pm della Procura di Catanzaro, dott. Andrea Giuseppe Buzzelli, titolare del fascicolo per omicidio colposo a carico del titolare dell’azienda, che produce conserve, Antonio Muraca, 35 anni, di Cicala, il Gip del Tribunale catanzarese, dott.ssa Teresa Guerrieri, con atto del 13 maggio, ha fissato per il 10 novembre 2020, alle 9.30, nel palazzo di giustizia di viale Argento, l’udienza preliminare di un processo.

    La famiglia aveva messo in dubbio fin da subito la tesi dell’incidente con alla guida lo stesso Mancuso, anche in ragione del fatto che il mezzo aveva una griglia di protezione anche in caso di cappottamento che avrebbe protetto il conducente, il quale invece era stato infilzato alla schiena dalle lame delle forche del macchinario. E alle fine le istanze e i solleciti alla Procura per fare piena luce sui fatti hanno ottenuto risposta. Il Pm ha disposto una perizia cinematica per ricostruire la dinamica del sinistro chiedendo anche al consulente medico legale che aveva effettuato l’autopsia un approfondimento specifico sulle inclinazioni dei fendenti. Questo ha portato Muraca nel registro degli indagati.

    Ma a conclusione delle indagini preliminari la posizione del giovane imprenditore agricolo appare ulteriormente aggravata dalla ricostruzione della dinamica del tragico sinistro. Muraca, alla guida del carrello elevatore, scrive il Sostituto procuratore nella richiesta di rinvio a giudizio, “nel tentativo di raggiungere un’area di deposito situata in cima a un salita del cortile pertinenziale dell’azienda, si è ribaltato andando a colpire con le forche del macchinario – bloccate in alto per evitare che fossero di intralcio alla manovra di accelerazione necessaria ad affrontare la salita – da tergo, all’altezza del fianco destro, il suo dipendente”. Al quale, aggiunge il Pm, “aveva precedentemente dato disposizioni di appoggiarsi sulla parte anteriore del macchinario per fungere da carico, in modo da aumentare l’aderenza e la trazione del mezzo”. Così facendo il titolare ha procurato al lavoratore un “emoperitoneo traumatico massivo con perforazione traumatica del peritoneo e dell’intestino, nonché emotorace con fratture costali multiple, lesioni che nell’arco di pochi minuti ne hanno causato il decesso per shock emorragico”.

    Non bastasse, Muraca dovrà rispondere anche della sfilza di violazioni riscontrate dallo Spisal in occasione del sopralluogo in azienda e delle indagini condotte dopo l’infortunio mortale, in ordine alla mancata dotazione del personale dei dispositivi di protezione individuale e di attrezzature adeguate, all’informazione e alla formazione dei dipendenti, alla non conformità dei luoghi di lavoro, carenti di segnaletica di sicurezza e di avviso, soprattutto nelle zone di pericolo. “Violazioni in ordine alle quali – conclude il dott. Buzzelli – lo Spisal impartiva le prescrizioni di legge, rimaste del tutto disattese”.

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