Indagine sui ginecologi, distinte le ipotesi d’accusa

Sono di diverso tenore le accuse che la Procura di Catanzaro ha contestato ai sei ginecologi dell’ospedale “Pugliese”

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    Sono distinte e di diverso tenore le accuse che la Procura di Catanzaro ha contestato ai sei ginecologi dell’ospedale “Pugliese” coinvolti nell’inchiesta condotta dal Gruppo della Guardia di Finanza. Nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari vergato dal sostituto procuratore Chiara Bonfadini emergono almeno due diversi filoni di presunti comportamenti illeciti contestati dagli inquirenti agli specialisti.

    Il primo, che coinvolge il direttore del dipartimento di Ostetricia e Ginecologia Fulvio Zullo e la responsabile del Centro di Procreazione medicalmente assistita Roberta Venturella,  riguarda l’indirizzamento di pazienti presso alcune cliniche campane riconducibili allo stesso Zullo, per sottoporsi alle procedure di procreazione assistita, nonostante in Calabria siano presenti altre strutture sanitarie in grado di offrire le stesse prestazioni ad un prezzo inferiore, tra cui lo stesso centro del “Pugliese”.

    Ciò, secondo gli inquirenti, avrebbe provocato un ingiusto vantaggio patrimoniale alle cliniche riconducibili a Zullo. Allo stesso primario di Ostetricia e Ginecologia sono contestate ipotesi di falso nelle prescrizioni di piani terapeutici per pazienti che non avevano mai fatto regolare accesso al reparto, o che avrebbero consentito il rilascio di farmaci in regime di esenzione, oltre ad altre ipotesi di falso nell’attestazione di presenze.

    Sono del tutto estranei alle accuse di aver favorito le cliniche campane riconducibili a Zullo, invece, gli altri specialisti coinvolti nell’indagine, Roberto Noia, Andrea Gregorio Cosco, Menotti Pullano e Saverio Miceli, ai quali vengono contestati, a vario titolo, episodi di sottoscrizione di piani terapeutici per pazienti che non avevano pagato il ticket o che avrebbero indebitamente ottenuto l’esenzione dal pagamento dei farmaci.

    E’ il caso di precisare che per entrambe le ipotesi si tratta, allo stato, di sole ipotesi di accusa, e che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari è un atto che serve a garantire agli indagati la possibilità di esercitare in pieno il diritto di difesa. Ora gli indagati avranno 20 giorni per produrre memorie, documenti, investigazioni difensive e chiedere di essere sottoposti ad interrogatorio. Solo dopo il pm avrà la facoltà di chiedere l’archiviazione del procedimento o decidere di proseguire nell’esercizio dell’azione penale

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