L’albero di Natale ogni anno consegna una sorpresa  all’umanità: lo scorso anno è stato il Covid-19, quest’anno il suo antidoto

La riflessione di Talarico, specialista in Igiene e Medicina Preventiva

Più informazioni su

    di Francesco Talarico*

     Il famoso virologo americano Peter Fauci si è affrettato a rassicurare i bambini, preoccupati che un eventuale contagio di Babbo Natale avrebbe pregiudicato la consegna dei regali, dichiarando di essere andato al Polo Nord a vaccinare personalmente l’illustre personaggio.

    Sono questi i paradossi di questo Natale così atipico e controverso. Tuttavia Natale rappresenta soprattutto la speranza ed anche questo  Natale 2020, a mio avviso,  non fa eccezione. Sotto l’albero quest’anno troveremo il vaccino COVID-19 (Comirnaty) della Pzifer-Biontech, destinato a prevenire la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) nei soggetti di età pari o superiore a 16 anni.

    Il 27 Dicembre inizierà ufficialmente in tutta Europa, e quindi anche in Italia, la campagna vaccinale con una giornata speciale denominata Vaccine-day.

    Il vaccino COVID-19 verrà somministrato in due iniezioni intramuscolo a distanza di almeno 21 giorni l’una dall’altra.

    Accanto alla speranza ovviamente esiste l’incertezza e la paura alimentate anche da interventi di personaggi di dubbia autorevolezza quali ex soubrette televisive, che dal ruolo di cicale sono passate a quello di civette male auguranti.

    Proviamo ad illustrare i presupposti che hanno permesso di autorizzare il vaccino, così come rappresentato sul sito dell’AIFA,  al fine di consentire a ciascuno di farsi un’opinione che  permetta una consapevole adesione alla campagna vaccinale.

    Il vaccino non contiene il virus e non può provocare la malattia.

    Esso è frutto di una tecnologia innovativa e contiene una molecola denominata RNA messaggero (mRNA) che rappresenta una sorta di libretto di istruzioni per permettere alle cellule della persona vaccinata di produrre una proteina presente nel virus e denominata Spike. Tale proteina consente l’ingresso del virus nelle cellule dell’organismo contagiato. Le proteine prodotte stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi specifici. In caso di contagio di un soggetto vaccinato, gli anticorpi prodotti bloccano le proteine Spike ed impediscono l’ingresso del virus nelle cellule.

    Il vaccino, quindi, non introduce, nell’organismo di chi si vaccina, il virus ma solo l’informazione genetica che serve alla cellula per costruire copie della proteina Spike.

    Non è stata saltata nessuna delle regolari fasi di verifica dell’efficacia e della sicurezza del vaccino

    Gli studi sui vaccini anti COVID-19, compreso il vaccino in questione, sono iniziati nella primavera 2020, pertanto i tempi sono stati effettivamente ristretti. Tuttavia le brevità dei tempi è stata compensata dal reclutamento di un numero eccezionalmente elevato di partecipanti, dieci volte superiore agli standard tradizionalmente previsti per studi analoghi di   sviluppo dei vaccini. Pertanto  è stato possibile realizzare in tempi brevi uno studio di grandi dimensioni, comunque attendibile per fornire le risposte del caso,  in termini di efficacia e sicurezza.

    In termini di efficacia il vaccino ha dimostrato di impedire al 95% degli adulti, dai 16 anni in poi, di sviluppare la malattia COVID-19

    Anche se l’efficacia del vaccino COVID-19 Comirnaty è molto alta (oltre il 90%) essere vaccinati non conferisce   libertà assoluta: occorre continuare ad adottare comportamenti corretti e misure di contenimento del rischio di infezione.

    Infatti vi sarà sempre una parte  di vaccinati, anche se piccola,  che non svilupperà in modo adeguato le difese immunitarie. Inoltre, ancora non sappiamo in modo definitivo se la vaccinazione impedisce solo la manifestazione della malattia o anche il trasmettersi dell’infezione. E’ necessario un lasso di tempo più lungo per dimostrare se i vaccinati si possono infettare in modo asintomatico e contagiare altre persone. Oltre a questo saranno necessari tempi lunghi, ovvero circa un anno, per coprire la maggior parte della popolazione e consentire lo sviluppo dell’immunità di gregge. Solo allora si potranno iniziare ad allentare le procedure di sicurezza.

    In termini di sicurezza, sulla base dei dati attuali, le eventuali reazioni avverse sono, nella gran maggioranza dei casi, di tipo minore e comunque in linea con altri vaccini

    Le reazioni avverse osservate più frequentemente (in più di 1 persona su 10) nella fase di studio sul vaccino COVID-19 (Comirnaty) sono state, generalmente,  di entità lieve o moderata, risoltesi in pochi giorni. Tra di esse  figuravano dolore e gonfiore nel sito di iniezione, dolore ai muscoli e alle articolazioni, mal di testa, stanchezza, brividi e febbre. In meno di 1 persona su 10 si sono riscontrati   arrossamento nel sito di iniezione e nausea. In meno di 1 persona su 100 si sono verificati prurito nel sito di iniezione, dolore agli arti, ingrossamento dei linfonodi, difficoltà ad addormentarsi e sensazione di malessere, che sono stati pertanto classificati quali effetti non comuni.

    Nei Paesi dove è già stata avviata la somministrazione di massa del vaccino è iniziato il censimento delle segnalazioni delle reazioni avverse, da quelle meno gravi a quelle più importanti, comprese le reazioni allergiche.

    Premesso che reazioni allergiche, anche se rare,  possono riscontrarsi anche con altri tipi di vaccini,  in Italia, sulla base di tali dati, è stato stabilito che le persone con una storia di gravi reazioni anafilattiche o di grave allergia, o che sono già a conoscenza di essere allergiche a uno dei componenti del vaccino Covid-19 Comirnaty,  dovranno consultarsi col proprio medico prima di sottoporsi alla vaccinazione.

    Ovviamente, prima della vaccinazione il personale sanitario pone alla persona che si sottopone al vaccino una serie di domande ben precise, utilizzando una scheda appositamente predisposta per  evidenziare eventuali condizioni di rischio. Se esse dovessero emergere si valuta se la vaccinazione possa essere effettuata oppure rinviata.

    I virus a RNA, categoria alla quale appartiene  il SARS-CoV-2, sono soggetti a frequenti mutazioni, la maggioranza delle quali non altera in modo significativo le componenti del virus. La variante c.d. inglese in Inghilterra è il risultato di una serie di mutazioni di proteine virali di superfice, e sono in corso analisi sull’impatto che queste possono avere sull’andamento della pandemia, mentre appare alquanto improbabile un effetto negativo sulla vaccinazione.

    Relativamente alle persone immunocompromesse (ovvero il cui sistema immunitario è debilitato) i dati sono al momento limitati. Tuttavia se anche queste persone possano non rispondere altrettanto bene al vaccino, in termini di efficacia, ovvero di sviluppo delle difese immunitarie,    non vi sono particolari problemi di sicurezza, poiché, come abbiamo detto all’inizio, con questo vaccino non si introduce il virus ma solo un’informazione genetica. In realtà le persone immunocompromesse dovrebbero essere vaccinate in quanto ad alto rischio di COVID-19 e delle sue complicanze.

    Stesso ragionamento riguarda coloro che hanno malattie di tipo cronico (diabete, tumori, malattie cardiovascolari, etc.): non solo non esistono controindicazioni legate alla presenza della malattia cronica, ma sono proprio queste le persone più a rischio di evoluzione grave in caso di contagio da SARS-CoV-2, e pertanto dovrebbero essere destinatarie in via prioritaria della vaccinazione.

    Una scelta ragionata e consapevole deve tenere in debito conto dei rischi, che abbiamo provato ad illustrare, e che comunque sembrano essere limitati,  ma anche dei relativi benefici.

    Non dimentichiamo infatti che questa malattia è molto più di una “banale” influenza,  posto che neanche l’influenza può essere considerata banale.

    Essa è stata caratterizzata in Italia da un tasso di letalità  pari al 3,5%, tra i più alti al mondo, per come risulta da uno studio della John Hopkinks University. Quindi, all’incirca, in Italia una persona su 30 che si ammala è destinata a morire.

    Non meno importanti gli effetti a lungo termine della malattia. Sulla base dei dati OMS sebbene sia vero che in molti casi i pazienti affetti da Covid-19 presentano sintomi moderati o lievi, tuttavia nel 10-15% dei casi c’è progressione verso la malattia severa, e circa il 5% diventano malati critici. Tipicamente la remissione avviene in 2-6 settimane. Tuttavia alcune persone sperimentano una più lunga durata di malattia oppure un ripresentarsi della stessa a distanza di settimane o mesi dall’iniziale remissione. Alcuni pazienti sviluppano complicanze che hanno un impatto di lungo termine sulla salute.

    Nel 35% dei casi, a 2-3 settimane dall’esordio della malattia, c’è persistenza di sintomi  quali: stanchezza, tosse, dispnea, perdita di gusto ed olfatto, mal di testa, dolori diffusi, diarrea, nausea, dolori toracici o addominali, confusione.

    Per quanto riguarda le conseguenze di lungo termine della malattia gli organi ed i sistemi corporei che possono essere interessati da conseguenze invalidanti sono i seguenti:

    • Cuore: danno al muscolo cardiaco, scompenso cardiaco
    • Polmone: danno al tessuto polmonare ed insufficienza polmonare di tipo restrittivo
    • Sistema nervoso e salute mentale: perdita dell’olfatto, danno cognitivo (perdita di memoria e concentrazione), ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, disturbi del sonno
    • Eventi di tipo trombo-embolico: embolia polmonare, infarto miocardico, ictus cerebrale
    • Dolori cronici muscolari ed articolari
    • Stanchezza cronica

    Ne emerge un quadro che in termini di letalità, persistenza dei sintomi e postumi invalidanti rende ragione dei cosiddetti benefici ovvero di tutto ciò che potremmo evitare sottoponendoci al vaccino, e che mettiamo sul piatto della bilancia per controbilanciare i rischi. Sulla base di queste informazioni la bilancia pende inequivocabilmente e a favore dei benefici del vaccino.

    Abbiamo già pagato un prezzo molto per questa pandemia: essa ha sconvolto il nostro quotidiano e  messo in dubbio il nostro futuro. La cosiddetta prima generazione senza guerre si è trovato in guerra contro un nemico subdolo ed invisibile. Tuttavia la guerra è stata anche contro noi stessi: negazionismo, sensazionalismo, egoismo e disfattismo hanno contribuito al diffondersi dell’epidemia. Non ripetiamo gli errori del recente passato: abbiamo in mano un’arma importante, forse definitiva per vincere questa guerra contro il virus.

    Il vaccino da solo non basta: a questo punto dobbiamo creare le condizioni culturali e comunicative per un’adeguata partecipazione alla campagna vaccinale.

    L’albero di Natale ogni anno consegna una sorpresa  all’umanità: lo scorso anno è stato il Covid-19, quest’anno il suo antidoto…… forse è la fine di un ciclo negativo e l’inizio di una fase nuova per il genere umano alla ricerca della normalità perduta. 

    *Specialista in Igiene e Medicina Preventiva

    Più informazioni su