Le sei ciminiere di Catanzaro tra storia e aneddoti foto

Rappresentarono quella parte “industriale” del capoluogo

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    Nel quartiere marinaro di Catanzaro, sei furono le ciminiere un tempo attive, che rappresentarono quella parte “industriale” del capoluogo. Questo particolare della storia della città nasce dalla curiosità, dalla voglia di rinnovare qualcosa del passato e, in questo caso, ricostruito quasi causalmente sul web, sul gruppo Fb “Sei di Marina di Catanzaro…se…”, con singolari foto, ma, soprattutto, con la conoscenza di tanti amatori fra cui, Franco Riga, grande stimatore della storia della “Marina”, ben raccontata anche dalle sue preziose foto che, in maniera peculiare, ne fanno riemergere il passato, con luoghi, persone e mestieri. E sarà proprio tramite il suo libro, “Catanzaro Marina – Storia di un borgo antico”, che si vorrà idealmente rendere nuovamente “attive” queste antiche ciminiere che resero operoso il “Villaggio Marina”.

    In questo breve “iter” si vorrà iniziare dalla ciminiera tuttora esistente, “La Tonnina” (così denominata dai residenti del quartiere). La storia dell’antica “Ledoga” é oramai nota ai più, tuttavia brevemente si vorrà ricordare come questa industria costituì per il quartiere una considerevole fonte di commercio, impiegando circa 300 operai.

    La “Ledoga” nacque primariamente a Milano nel 1886, i suoi soci fondatori, Lepetit, Dollfuss e Gansser, crearono una società, dandole come nome aziendale, per l’appunto, “Ledoga”, ricavato dalle iniziali dei loro cognomi. La fabbrica edificata nei pressi della foce del fiume Corace, si occupava della lavorazione del “tannino” estratto dal legname e della concia delle pelli (da qui la produzione di fondine per pistole, zaini, cinture, stivali, etc). Tutto ciò veniva completato dalla parte farmaceutica, era infatti esistente un laboratorio chimico, dedito alla preparazione di svariati medicinali. Purtroppo, come la storia racconta, la seconda guerra mondiale le fu fatale, diventando un “bersaglio” da colpire e, nel settembre del 1943, venne bombardata. Il bombardamento causò ingenti danni agli edifici, con numerose vittime e feriti, malgrado ciò la fabbrica dopo tempo riuscì a riprendere le attività, ma, la politica “creditizia” di quegli anni (‘50/’60) non diede “spazio” a diversi stabilimenti esistenti, decretando la chiusura di alcuni, fra cui anche la Ledoga.

    La bella ciminiera finì di essere attiva e si spense per sempre. Continuando con la storia delle ciminiere in attività, si procederà in maniera semplicemente “numerativa” e, pertanto, a quella della “Tonnina”, se ne aggiungeranno altre due, quelle delle industrie olearie esistenti nella zona adiacente alla stazione ferroviaria del quartiere Lido, l’area attualmente denominata “Area Magna Grecia”.

    Le due ciminiere che svettavano fumando erano quelle della “Saic” (Società Anonima Industrie Calabresi) e quelle dell’industria “Olearie”, quest’ultima era formata dagli stabilimenti delle Industrie Olearie, la cui s.p.a era stata costituita quale “Società Anonima Cooperativa”, esattamente il 09/09/1906. La prima delle due fabbriche impiegava circa cinquanta operai e, nel suo ciclo produttivo, trasformava i derivati dell’olio sulfureo in “sapone” e “pasta lavamani”. La “Saic” costituiva una notevole fonte di economia lavorando attivamente, infatti, l’antistante piazzale era costantemente pieno di cassette in legno che venivano riempite del sapone liquido ottenuto. La produzione era intensa, tant’è che il prodotto ricavato si smerciava in Italia, ma anche nel resto d’ Europa. Diversamente gli stabilimenti delle “Olearie” si occupavano della lavorazione della sansa, mediante la quale si otteneva l’olio sulfureo.

    Nell’anno 1938 la fabbrica venne completamente rinnovata, ma, anche i suoi locali furono colpiti dai bombardamenti della guerra del ’43. La ricostruzione non si fece attendere, la fabbrica riprese subito il suo ciclo includendo anche la lavorazione di ossa di animali, colla, grassi e concimi. La produzione era costante e l’approvvigionamento della sansa avveniva tramite il “servizio merci” della vicina ferrovia, con l’arrivo quotidiano di circa 20 carri giornalieri.

    Lo scalo merci, infatti, era direttamente collegato alle due industrie a mezzo “binari” o alternativamente tramite “carri” che trasportavano la materia prima che arrivava anche “via mare”. Altra fabbrica che si occupava della lavorazione della sansa era la “Gaslini” (attualmente “Parco Gaslini”), situata tra la ferrovia, l’adiacente “Fiumarella” e Via Torrazzo. Nell’antistante piazzale si potevano notare degli enormi cumuli di sansa, la sua ciminiera costantemente “fumava”, proprio in pieno centro, diffondendo un particolare odore acre di olio, così reso dalla lavorazione. Anche qui vi era un continuo andirivieni di mezzi che all’ingresso venivano “pesati” da un grosso bilico, per quantificare il prodotto trasportato.

    Ancora due ciminiere per completare il quadro delle loro attività, infatti una era da attribuire alla piccola fabbrica delle “Fornaci Mengani” che sorgeva in zona “Fortuna” e, come descrive Riga nelle pagine del suo libro, la collocazione non era del tutto casuale poiché lo stabilimento occupandosi della produzione di laterizi ed in particolare di tegole, aveva bisogno della materia prima, ovvero l’argilla, che veniva estratta dalle adiacenti colline di “Località Verghello”. A Romualdo Mengani, il titolare, subentrò il figlio Gino, che inserì nel ciclo produttivo la lavorazione di pieni, a quel tempo effettuata da circa 15/20 persone. Successivamente le “Fornaci Mengani” vennero rilevate da Antonio Russo, residente del quartiere marina, che continuò la lavorazione di laterizi.

    Tuttavia l’intenso ciclo produttivo fece sì che la materia prima venisse a mancare, tanto che si decise di spostare la fabbrica nella vicina zona “Passo di Salto”, ove le adiacenti colline risultavano più ricche di argilla (dismettendo completamente la “vecchia” fabbrica). In questa fase il titolare pensò di inserire anche i figli, Sarino e Franco. Ed ecco che l’ultima delle ciminiere cominciò ad essere attiva, i figli del signor Russo fecero onore all’operato del padre, mantenendo alto il nome “Le Fornaci”.

    La fabbrica continuò a lavorare finché i due fratelli, se pur a malincuore, dismisero lo stabilimento cedendo il posto alla realizzazione di un centro commerciale che tuttora mantiene il nome di “Le Fornaci” (il primo a sorgere in città). Anche l’ultima ciminiera del quartiere marinaro si spense, lasciando posto solo ai ricordi che, nonostante il passare del tempo, rappresentano una parte significativa della storia della città. La “Tonnina”, unica ciminiera esistente fra i resti della sua fabbrica, rimane il simbolo delle altre in tutta la sua bellezza. (foto dal libro di Franco Riga)

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