Quei bambini catanzaresi ‘invisibili’ in Svizzera

Calabria, storia e emigrazione nel libro ‘Un gamin de Calabre’ di Giuseppe Vallone. Quando i migranti eravamo noi

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    Pino era un bambino gracile. Bravo a scuola e a tirare a pallone. Testa dura, da vero calabrese, nato e cresciuto fino a 14 anni a Squillace. Strappato ai suoi genitori, emigrati nella Svizzera francese. Genitori senza figli, figli senza genitori: la legge svizzera era dura con ‘i terroni’, quando i migranti, e non troppo tempo fa, eravamo noi.

    Tra gli anni ’60 e ’70, infatti, in Svizzera i lavoratori stagionali, migliaia i calabresi tra questi, non avevano diritto al ricongiungimento familiare con i loro figli prima di dieci anni. Potevano vedere i loro bambini per periodi di tre mesi all’anno.
    Per il resto, dovevano vivere separati da loro. Famiglie spezzate, nell’ottica, da parte della Confederazione, di massimizzare il profitto dei lavoratori ‘minimizzando’ i costi assistenziali.
    Secondo alcuni documenti sono stati inoltre migliaia i bambini che nella Svizzera, invece, hanno vissuto tutto il tempo ‘nascosti’, bambini fantasma, proprio perché la legge vietava la loro permanenza, e quindi costretti a vivere vite spaventose senza istruzione e dimensione sociale.

    Una vicenda storica dura. Forse non ripercorsa a dovere nella sua tragica disumanità.
    A rendere omaggio “alla dignità dei calabresi, alla loro straordinaria capacità di sacrificarsi per poter costruire un futuro nella loro Calabria e ai loro bambini”, a sottrarre dall’oblio un racconto così importante è Giuseppe Vallone, squillacese emigrato a 14 anni a Payerne, città non lontana da Losanna.

    La copertina del libro
    Giuseppe Vallone libro e foto

    ‘Un gamin de Calabre’ (Un ragazzino di Calabria), un vero e proprio caso editoriale in Svizzera con oltre 2500 copie vendute, racconta tutto questo. Racconta il dolore di quelle valigie preparate dalla madre, a maggio. La ferita della separazione che si ripete. ‘Straziante, non ci voglio pensare’, si lascia scappare nello sfogo lo scrittore.
    Racconta l’orgoglio per quel padre che aveva perso il lavoro e ‘stivali altissimi, era stato messo a pulire il fiume’. “Quell’immagine della fatica di mio padre nell’acqua gelida– continua Vallone – ha segnato per sempre la mia vita e da lì è cominciata la mia battaglia”.
    Una battaglia che è stato senso di rivalsa. Vallone, vicedirettore in Svizzera di un’azienda che produce materiale edile, racconta, “Io mi sono sentito un piccolo Telemaco, che combatte lontano, come nell’etimo del nome, strappato ad Ulisse e tra la carriera, il calcio, l’impegno nelle associazioni, l’insegnamento del francese agli emigrati per molti anni, ho raggiunto i miei obiettivi.
    Ma ho voluto attraverso la mia storia raccontare quella di migliaia di altri ragazzi come me. La mia Odissea, quella di tutti noi emigrati, e difendo a denti stretti la Calabria, terra di gente che sa sacrificarsi come la storia testimonia e purtroppo dai media anche internazionali disconosciuta nel suo valore di luogo di cultura e di accoglienza e ricordata solo per la ‘ndrangheta.”.

    Giuseppe Vallone oggi
    Giuseppe Vallone libro e foto

    ‘Da cinquant’anni torno sempre in Calabria – racconta Vallone – a Squillace ho le mie fondamenta, quei valori di amicizia, rispetto, fede e famiglia senza i quali non avrei costruito me stesso e la mia esistenza, resto sempre un bambino di Squillace che quando torna nel Catanzarese ritempra la sua anima, con questo libro ho voluto raccontare i muri che ho abbattuto, a volte il razzismo, le sfide, le barriere e le ingiustizie, seppure la Svizzera francese è stata terra ben più aperta verso i migranti rispetto alla Svizzera tedesca, ma più che la mia storia ho voluto raccontare la Calabria tutta, i calabresi di oggi figli di chi ha sudato nei cantieri, nelle fabbriche, facendo lavori manuali e faticosi, io sono stato un bambino che è diventato adulto a sette anni, quando, solo in un paese calabrese con i genitori emigrati, ho capito che dovevo essere bravo a scuola per costruirmi qualcosa. E, in Svizzera a 14 anni, che dovevo integrarmi. Questo libro l’ho scritto spesso di notte, a far venir fuori ricordi dolorosi. Sedimentati nel mio animo. Per rendere dignità alla Calabria”.
    Il progetto, ora, è di tradurre questo testo per ora scritto solo in francese. Importante dal punto di vista storico, sociologico e antropologico. Più facile comprendere il presente conoscendo anche questo passato.

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