Dopo un po’ si scocciano…

"Mi chiedo se questo è un limite della nostra professione o di coloro che la esercitano senza molta passione"

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    di Nunzio Raimondi

    Sono avvocato da quasi trentacinque anni ed ancora mi sveglio al mattino con il desiderio di immergermi nella mia professione. E guardo con stupore a tanti Colleghi che mi trasmettono insofferenza per questo nostro mondo. A parte quelli che lo usano per proiettarsi in politica, come una specie di scala per arrampicarsi nei luoghi di potere, mi sorprendono anche coloro che si dedicano ad attività commerciali (nascosti dietro prestanome s’intende) o culturali, ovvero si orientano verso hobbies coltivati, più o meno segretamente, per una vita.

    Nessuno che si “accontenti” – ca va sans dire – della sua scelta d’essere avvocato.

    E mi chiedo se questo è un limite della nostra Professione o di coloro che la esercitano, senza molta passione. Ancora l’altro giorno, in occasione di una festa, ho rivisto un’intervista che rilasciai, giovanissimo procuratore legale (ai miei tempi per diventare Avvocato si richiedeva qualcosa in più rispetto al superamento di un concorso…), quando ricevetti la Toga d’Onore ed il Premio “Alfredo Cantafora”.

    E vi ho ritrovato le stesse essenziali ragioni che ancora oggi ispirano la mia Professione: il servizio agli ultimi ed ai non protetti. Ed ho riflettuto come in questo percorso, vissuto ogni giorno con lo stesso entusiasmo, non manchi di nulla, non avendo bisogno di altre gratificazioni se non quelle molteplici che mi sono venute da quella che Voltaire definiva “la più bella professione del mondo”. Certo i tempi sono molto cambiati dal momento nel quale ho iniziato ad esercitarla: da giovani Avvocati guardavamo a quelli anziani con rispetto e così anche si comportavano i Magistrati più giovani verso quelli più anziani.

    Lo stesso accadeva fra Avvocati e Magistrati con la stretta osservanza di una regola non scritta e non formale, ma frutto del convincimento profondo dell’essenziale e dominante forza dell’esperienza. Ed anche se oggi noi che abbiamo conosciuto quel mondo ci vediamo messi ai margini e perfino sbeffeggiati dagli ubiqui cavalli rampanti di turno, anche se siamo additati come appartenenti ad una classe che vive di nostalgici ricordi, non dobbiamo perderci d’animo! Perché ancora la Professione è un atto d’Amore, verso i giovani, verso la conoscenza, verso l’uomo in errore.

    E come si può tradire questo magnifico ideale che ci anima e ci fa andare avanti? Chi e cosa può impedirci di sperare? Ecco, io penso che abbia ragione Calamandrei: “Per trovar la giustizia bisogna esserle fedeli: essa, come tutte le divinità, si manifesta soltanto a chi ci crede.” E, nonostante tutto, l’Avvocato è uno che nella giustizia crede! Non si pensi, sull’onda della cronaca, che il nostro lavoro sia soltanto abilità o forza nelle “relazioni personali” F. Cafka), ma si guardi alla nostra storia, nella quale la Professione forense primeggia, innanzitutto, perché essa è un credo civile, capace davvero di accendere un fuoco inestinguibile e del quale non ci si può liberare mai.

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