L’antica ghiacciaia di Catanzaro, le neviere, la “scirubetta”

La struttura si trovava nell’attuale “Villa Pangea”

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    La storia della “nostra” Catanzaro è ampiamente riportata da storici, appassionati e amatori del vissuto cittadino. I suoi “percorsi” sono innumerevoli e tutto ciò che si può scoprire resta un interessante bagaglio fatto di tradizioni, storia e cultura. Nelle letture dove si parla del passato, alle volte sembra quasi di ritrovarsi in quelle strade che brulicavano di uomini d’affari, nobili cittadini, ma anche di commercianti e ambulanti. Infatti, quella parte che dava una particolare nota di colore era data proprio da questi ultimi. Quelle figure che, nelle strade, esponevano la loro merce con l’intento di racimolare qualche soldo, fra questi, nelle calde giornate estive, non poteva mancare colui che al grido di “gelati, gelati”, vendeva i “ficundiàni”, ovvero i fichi d’india. Il consumo dei fichi d’india a Catanzaro era una vera tradizione e nella panoramica zona di “Bellavista” sovente si ritrovavano i cosiddetti “pagghìari”, capanne composte da frasche e paglia, dove era possibile comperare i “freschi gelati”. A gestire il tutto, era dunque il tradizionale contadino che nei suoi secchi, di cui alcuni con il gustoso frutto e altri con dell’abbondante ghiaccio, esponeva la sua merce. A gran voce richiamava l’attenzione e molti erano coloro che si avvicinavano per assaporare il fresco frutto come se fosse un gelato.

     LA GHIACCIAIA. Certamente, all’epoca, il ghiaccio non era di facile reperibilità e infatti si faceva riferimento alla “Ghiacciaia” cittadina, struttura che si trovava nell’attuale “Villa Pangea” (zona quartiere Bellamena) destinata alla produzione e conservazione del ghiaccio, poi utilizzato per i più svariati consumi. La ghiacciaia comunale venne realizzata nel lontano 1896 a seguito di una importante opera di urbanizzazione. La scelta del luogo fu a lungo vagliata e riferita anche alla preesistenza di un gigantesco serbatoio idrico (già esisteva un capiente serbatoio idrico per la distribuzione dell’acqua) che poteva facilmente offrire l’acqua necessaria. Successivamente, l’attività di conservazione ed estrazione del ghiaccio, venne ritenuta una risorsa economica di un certo spessore. Infatti, la produzione ebbe un così notevole incremento che, nel 1923, si pensò di ampliarne il progetto che già constava di una sala per il generatore-compressore, di una sala per la turbina e quella della cella frigorifera. Alcuni lavori di ampliamento avrebbero permesso di ottenere un locale dove eventualmente installare un secondo impianto frigorifero. Per meglio comprendere le dinamiche degli impianti idrici di una volta, bisognerà andare un pò indietro nel tempo, allorquando le città, anche bizantine, possedevano un “sistema idrico” che comprendeva pozzi e cisterne. Fra queste, anche Catanzaro. Infatti, sino agli inizi del XVIII secolo, la città si approvvigionava di acqua proprio tramite cisterne. Solo nel 1820 venne ideato il progetto di una conduttura che avrebbe consentito l’aumento dell’acqua in città, usufruendo della sorgente del “Visconte” sita fra i monti di Pentone (il progetto venne portato a termine nel 1844). Nel 1872, per aumentare la portata del vecchio acquedotto, vennero fatte confluire le acque del “Visconte” con quelle della località “Trifoglio”, costruendo un serbatoio della capacità di 3500 metri cubi, nel fondo “Pistoia”, ovvero l’attuale area di “Villa Pangea” (da qui la conseguente realizzazione della ghiacciaia come antecedentemente detto) – (cenni storici da “Studi Calabresi” – “Dall’horto del Convento a Villa Pangea: per una lettura storica del quartiere Nord di Catanzaro” di F. Cristiano). Tornando alla particolare ghiacciaia, nella sua generale attuazione la scelta del luogo veniva preferibilmente indirizzata verso una zona esposta a “nord”, come nel caso della struttura di Catanzaro. Ad usare il ghiaccio erano soprattutto i ricchi, ma anche i ceti più bassi potevano acquistarlo, in genere veniva trasportato sino in città con i carri, lavoro effettuato quasi sempre durante la notte. Anche nella nostra Catanzaro il ghiaccio veniva adoperato per la conservazione dei cibi, per uso medico, ma anche dai gestori dei bar per dissetare la clientela nelle giornate estive, come accadeva in quelli della città con la preparazione di granite, sorbetti e altro ancora. Per la produzione del ghiaccio poteva essere utilizzata anche la neve (ghiaccio da neviera – ‘a nevera) ammassandola durante l’inverno in dei locali, per poi successivamente venderla (alle volte veniva usata direttamente nelle ghiacciaie). Lo ricorda anche Giovanni Patari nel suo “Catanzaro d’altri tempi” parlando della vedova di “Peppinu ‘u nivaru” che in un magazzino posto nella zona de i “Coculi”, vendeva la neve a quattro centesimi al chilo. Avere una piccola “ghiacciaia” nelle proprie case non era una possibilità destinata a tutti, in genere erano le famiglie più abbienti ad avere questo privilegio. Il piccolo “frigorifero”, alle volte delle dimensioni di un basso armadietto, constava di un’apertura in alto ove venivano riposte le lastre di ghiaccio, mentre sul davanti uno sportellino dava spazio ad un piccolo vano che permetteva di conservare i cibi per alcuni giorni.

    LE NEVIERE – L’arte de “’u nivaru” (nevaiolo) un tempo era molto diffuso, infatti durante l’inverno anche nei boschi della Sila si raccoglieva la neve nelle “Neviere della Regia Sila” e non poche furono le volte che si crearono dispute per “dazi e diritti” fra i “nevaioli” che trasportavano la neve in tutta la regione, creando un vero e proprio commercio. Ma, il commercio della neve, andava anche oltre regione, tant’è che ad esempio, la neve che giungeva via mare nella città di Napoli, proveniva proprio dalla Calabria e, nel particolare, dalle montagne silane. La Sila, dunque, costituiva un importante indotto per lo Stato, infatti forniva legname, pece di ottima qualità, pascoli e per l’appunto neve in grande quantità. Il procedimento che veniva svolto per realizzare le cosiddette “neviere”, consisteva nell’accumulare la neve in delle particolari “cavità”, a volte naturali, altre volte create direttamente dall’uomo. Dopo averla pressata affinché si formasse un unico blocco, la si ricopriva interamente di foglie, paglia e legname per creare una sorta di isolamento termico. Nel momento in cui doveva essere prelevata per commercializzarla si faceva attenzione a scegliere quella più “pulita”, infatti la prima regola per essere venduta, includeva che fosse priva di “corpi estranei” ed assolutamente commestibile.

    LA SCIRUBETTA – Della neve usata per le “granite” come non menzionare la famosa “Scirubetta” calabrese, una manciata di neve pura usata per approntare un dolce dessert, abitudine tramandata anche dalle nostre nonne. Preparata direttamente nei luoghi di montagna con lo scendere della soffice neve e, nel passato, nei mesi estivi gustata anche altrove grazie alle “neviere” che, come spiegato, ne permettevano la conservazione. Diversi gli ingredienti usati per comporre la “Scirubetta”, come il succo d’arancia, di limone e cedro, ma ugualmente il caffè, l’anice e la cioccolata erano gli altri differenti gusti. A questi, si aggiungeva anche il “mosto cotto”, usato come variante per la classica “Scirubetta al vino”. Certamente, era quasi inimmaginabile che i nostri antenati avessero potuto gustare le granite anche nei mesi estivi. Quest’ultimo particolare venne già evidenziato nel 1847 dallo scrittore inglese, Edward Lear, al quale nel mese di agosto venne più volte offerta “neve e vino” durante un suo viaggio nel reggino, ma anche nelle zone Joniche, del Tirreno e quelle dell’entroterra calabro. In alcuni brani di un suo diario (“Diario di un viaggio a piedi”), infatti, descrive paesaggi, usi e tradizioni, affermando di aver gustato in piena estate un sorbetto con “neve e vino”. Sicuramente, i tempi del “venditore di gelati” o dell’antica “Ghiacciaia” di Catanzaro sono oramai lontani, tuttavia, come sempre, a non perdersi sono quei singolari tratti storici e quelle belle tradizioni che fanno parte anche della nostra città. (“La Ghiacciaia” foto di M. Leone gentilmente concessa dal gruppo fb “Catanzaro la città mia”)

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