Giancarlo, la legge e la disperazione di un uomo solo

"Chiedo alle autorità, e alla umanità che è nelle persone che la rappresentano, di restituire Pittelli al Natale della sua famiglia"

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    di Franco Cimino

    Come per quel famoso ormai antico film di Nanni Moretti: “mi si nota più se vado o se non vado”, anche in questa occasione, che mi porta a scrivere, mi viene da dire, perché in fondo freudianamente l’ho pensato:” sarò considerato onesto e antimafioso più di qualsiasi cultore dell’antimafia se non ne parlo o non invece un timidamente nascosto simpatizzante o timorosamente accettante quel mondo di mezzo che con le mafie ci gioca e con la delinquenza utilmente vi collabora?

    Nel caso che vi dirò, potrei addirittura cavarmela giustificando il silenzio con il classico” ne ho parlato prima di tutti e con gli stessi atteggiamenti umani di questo mio scritto. Ho impiegato un’intera notte sul dilemma. Ho deciso, ne parlo. Il tema è l’ultimo arresto, ovvero trasferimento in carcere, di Giancarlo Pittelli, la persona, più “sconosciuta” a Catanzaro e in Calabria, tanto da non suscitare alcun sentimento o semplice emozione in chiunque abbia frequentato i tanti luoghi dove egli ha operato da invisibile. Mi muovo, allora, dentro alcuni di questi luoghi per esprimere un dubbio, più che una doglianza o una contestazione, che tra l’altro non saprei fare non avendo alcuna competenza tecnica o dottrinale per mettere in discussione, sul piano appunto tecnico o disciplinare, le motivazioni dell’ultima “ordinanza”  si chiama così?) che ha prelevato Pittelli dalla sua “domiciliare” carcerazione, tra l’altro riconquistata a colpi di ricorsi e di suppliche, per riportarlo al chiuso delle più fredde e anguste quattro mura esistenziali, oggi, quelle di Siano. La domanda, che pongo a me stesso, diciamo, è questa: “perché un uomo intelligente, avvocato tra i migliori d’Italia per oltre quarant’anni, quindi conoscitore delle norme e dei regolamenti, e parlamentare della Repubblica per venticinque, persona di grande esperienza e insistente vita vissuta, si mette a fare una stupidata che neppure un ragazzino o il più sprovveduto fra gli adulti avrebbe fatto, come quella, assolutamente vietata nel suo caso, di comunicare con l’esterno? E perché lui la fa più grossa ancora, che neppure a vederla vi si potrebbe credere, come quella di scrivere a un ministro sebbene il suo cuore la considerasse persona amica e dolce sensibile, probabilmente anche perché donna? Quali prove avrebbe potuto inquinare e quale correità avrebbe potuto attrarre a sé chiedendo aiuto, tra l’altro, a una persona notoriamente, anche per lui, onesta e irreprensibile sul terreno della lotta alla criminalità?

    La risposta c’è ed una sola: la disperazione.

    Il tentativo estremo, inutile perché disperato, o disperatamente inutile, di salvarsi almeno dall’impazzimento, quale é quello che rischia un uomo che si sente, e lo grida, innocente rispetto alle accuse che gli vengono mosse. Un grido disperato che chiunque si offra al processo ha il diritto (il grido, non la stupidata) di lanciare. Giancarlo Pittelli, che ha diviso i più curiosi ma indifferenti, tra chi lo considera una roccia e chi invece un debole disposto a un qualche cedimento “ giudiziario”, è soltanto una persona piena della sua umanità. Un uomo né forte né fragile. Ma solo una persona che sente, come ha scritto a quel ministro, di aver perso tutto e che forse spera di poter ancora difendere i suoi affetti più importanti, che sono due! Le sue due splendide donne. Lo fa con l’unica arma disponibile, che ha preso dalla solitudine e da quell’anfratto che confina con l’ignoto ancora non varcato, quel luogo in cui la ragione si smarrisce e in essa tutta una storia personale, che non si può chiudere nei voluminosi atti giudiziari.

    La violazione commessa da Pittelli, è solamente disperazione. E la disperazione, in tutti e ovunque, va compresa. Direi anche carezzata. Giammai imprigionata. Sono io, umile padre e modesto cittadino, persona che ha l’assillo di compiere sempre il proprio dovere verso il suo paese e la sua comunità, che sono il mondo e l’umanità, a chiedere alle autorità, e alla umanità che è nelle persone che la rappresentano, di restituire Giancarlo Pittelli al Natale della sua famiglia. E di farlo con quel gesto che accarezzi la sua disperazione. Ché questo semplice atto umano nessuna via della Giustizia potrà precludere.

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