Aggravante mafiosa per rapina Sicurtrasport? Ecco perchè la Corte d’Appello se ne dovrà rioccupare

Rese note le motivazioni alla base della decisione della Corte di Cassazione che lo scorso 31 marzo ha imposto la ridiscussione della posizione di due imputati

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    Non può essere esclusa l’aggravante mafiosa nell’episodio delittuoso della rapina al caveau della Sicurtransport il 4 dicembre 2016. Per questa ragione lo scorso 31 marzo pur rendendo definitive gran parte delle condanne in appello agli autori della rapina la Corte di Cassazione aveva disposto un nuovo processo d’appello relativamente alla posizione due degli imputati ovvero Dante Mannolo e Giovanni Passalacqua per i quali, sempre secondo la Suprema Corte i giudici di secondo grado dovranno valutare la rideterminazione delle pene proprio in relazione a questa aggravante.

    Nelle 62 pagine in cui sono contenute le motivazioni della decisione e si parla in particolare carente e lacunosa la decisione di escludere l’aggravante.

    “La corte di appello – scrivono i giudici della Cassazione – non ha compiutamente affrontato la questione se, nella specie, la consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio e la volontà di favorire una associazione mafiosa, al di là del fine egoistico di realizzare la rapina in un territorio intriso di condizionamenti mafiosi senza interferenze e limitazioni esterne, non poteva essere desunta da una serie di elementi fattuali emersi nel corso del processo, comunque, sintomatici di un intento rafforzativo della forza di condizionamento e di intimidazione della compagine mafiosa, certamente, favorita in concreto dalla spartizione del bottino (pacificamente intervenuta) e resa ancora più forte e vitale ai fini del controllo del territorio proprio dal riconoscimento della sua forza e del suo peso nel territorio in questione ad opera dei suindicati rapinatori. Né appare decisiva la tesi secondo cui la lettura offerta dai giudici di primo grado avrebbe trascurato il dato, emergente dalle dichiarazioni dei collaboratori, secondo cui ad essere state interessate all’ elargizione di parte del bottino, non era stata una specifica associazione ma bensì una serie di cosche, neanche tutte compiutamente determinate: tale prospettazione omette di considerare che, secondo la ricostruzione dell’ accusa fatta propria dai giudici di primo grado, tutte le famiglie beneficiarie dei proventi della rapina erano confederate nella “casa madre” sicchè era l’associazione mafiosa ‘ndrangheta che, in ultima analisi, aveva fruito nel suo complesso dell’ apporto di denaro. Sebbene proprio la natura soggettiva dell’ aggravante richiede, come è ormai principio consolidato, la prova del dolo specifico di favorire l’associazione, con la conseguenza che questo fine deve essere l’obiettivo “diretto” della condotta, secondo la citata pronunzia delle S.U., non sussiste dubbio che, come chiarito in detta pronunzia, il fine agevolativo “costituisca un motivo a delinquere” con la conseguenza che “la ricostruzione del motivo a delinquere in tal senso non è mai esclusiva, poiché plurimi possono essere gli stimoli all’azione; quel che rileva è che tra questi sussistano elementi che consentono di ravvisare anche quello valutato necessario dalla norma incriminatrice”. “

    Si impone, pertanto – si legge più avanti – l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto con onere della corte di appello di rivalutare, alla luce delle considerazioni sopra formulate, la configurabilità a carico dei predetti imputati Dante Mannolo e Giovanni Passalacqua dell’aggravante de qua, chiarendo se accanto al fine egoistico certamente sussistente non era nella specie configurabile anche un intento agevolativo e rafforzativo della compagine dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta”.

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