“Dalla nuova sede alla Procura, dell’antico convento e della mia riposata battaglia risvegliata”

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    di Franco Cimino

    “ Cosa fatta, capu ha”, questo mi diceva mio padre, me piccolo e molto giovane. Anzi, me lo ripoté fino alla fine dei suoi giorni, me ormai adulto e sposo e padre e prof e tante altre cose di “elevata importanza”. Con questo detto antico egli mi voleva significare che quando un cosa viene fatta, tuo malgrado, devi andare a cercarvi dentro, ché una qualche ragione deve averla. Oppure, una qualsiasi cosa anche se non bella, o dannosa, o brutta, deve trovare nella intelligenza delle persone un motivo che la trasformi nel suo essere stata realizzata già, e in quel modo. Ci sono altri significati, la filosofia popolare ne sforna per lo stesso detto a decine se non a centinaia. Ne riferisco un altro soltanto.

    Questo: “ma fregatene, lascia correre, non farti u sangu acidu o u ficatu spattu. Lo vedi come va la vita, cumandanu sempre idhri. Arrigetta stu cervedru, spegna stu cavulu e cora, ca sinnò mori poveru e pacciu.” Non gli ho mai dato retta su questo. E sono andato avanti con la mia testa adagiata sul cuore, uno battente, l’altra producente. Pensieri tesi e forti. Ma anche inquietudine profonda mista a rabbia e a senso di insopportabile sconfitta. Tuttavia, se in determinate situazioni, specialmente quelle delle battaglie nobili perse( sono quelle dell’onestà dei comportamenti e della purezza delle idee) mi sono fatto il sangue amaro e il fegato rovinato, la soddisfazione per le idee alte sostenute e il coraggio della coerenza delle battaglie per esse, mi ripaga sempre. Mi gratifica alquanto.

    Perché quelle idee restano. La tua parola è ferma. Incancellabile. Per questo, e lo ripeto ai trinariciuti, io scrivo tanto. Specialmente, da quando non ho una cattedra e una tribuna o una piazza da cui parlare. Scrivo, per documentare ciò per cui mi batto. Per ricordarlo agli altri, come da mio dovere di uomo politico e di persona impegnata nel sociale. Per memorizzarlo a favore delle mie figlie, per il dovere che un padre ha nei confronti di chi ha contribuito a generare. Per farsi conoscere meglio. Infine, per ricordarlo a me stesso, quando la mia memoria seguirà l’incertezza delle mie gambe pesanti. Una delle battaglie che ho sostenuto con ferma convinzione, tra le tante fatte con forza ideale, per tutelare la bellezza della mia Città, è stata quella della difesa e valorizzazione del Convento del millequattrocento, dominante piazza Stocco, meglio noto come ex Ospedale Militare, luogo storico per la Città e romantico per decine di migliaia di giovani calabresi, ora non più tali. Questa battaglia l’ho condotta in due fasi.

    La prima, supportando la fatica enorme che Quirino Ledda ( il comunista sardo inviato dal PCI a Catanzaro molti anni prima e divenuto con la sua passione e fatica consigliere e vice presidente dell’Assemblea Regionale) ha consumato, e con grande intelligenza, per restituire al Capoulogo, attraverso iniziative legali richieste al Comune, il bellissimo edificio quattrocentesco dopo una lunga contesa con il Demanio che ne rivendicava, erroneamente, la proprietà. Quella battaglia fu vinta. Ed è stata una vittoria bellissima! Poco compresa, purtroppo, dai cittadini e, per ignoranza, scarsamente utilizzata dalla politica locale. La seconda, l’ho iniziata in occasione della mia campagna elettorale per la carica di Sindaco, “ evitatami” per soli pochi voti, nel famoso intenso ballottaggio del duemilasei. Nel mio programma vi erano idee e progetti che non ho mai abbandonato avendoli collocati nell’idea di Città che non ho mai dismesso. Al centro di essa vi è il recupero e la valorizzazione della Bellezza, su cui potremmo fare, ma qui non possiamo, un lungo discorso. Uno piccolo di principio, però, sì. Ed è che cultura e bellezza si incontrano nella cura dei luoghi.

    Quelli naturali e quelli storici, architettonici, urbanistici. Questo incontro è felice quando la Politica, inserendoli in una visione alta della Città, li riempie di contenuti che a quella visione concorrono. La mia visione è che gli edifici storici debbano essere luoghi della cultura e in essa della tradizione locale, che è storia locale. Sono in sé luoghi della formazione culturale dei giovani, attraverso l’istruzione e gli studi più alti. Sono anche quelli della formazione e dell’aggiornamento e dell’approfondimento della sensibilità culturale dei meno giovani, degli adulti avanzati e degli anziani diversamente collocabili nelle varie età senili. Per l’ex Ospedale Militare, la mia idea (e quella di Ledda, che però vi ipotizzava anche l’Archivio storico comunale) era quella di allocarvi una Facoltà Universitaria importante. In particolare, Giurisprudenza e le scuole specialistiche per le professioni legali, così che la Cittadella della Giustizia avesse un “ornamento” elegante e la Città bella tanti giovani che l’avrebbero vissuta dall’interno del Centro storico, allora più desertificato di adesso.

    Tanti studenti in Legge nel Centro Storico, a cui nel tempo si sarebbero aggiunti altri studenti di altre facoltà allocate in altri bellissimi edifici storici ancora disponibili nonostante la svendita di quelli più grandi. L’idea era di realizzare, nella visione di Catanzaro Capoluogo e Città aperta, della Democrazia e della Pace, una Università tra le più qualificate e anche originali d’Europa, attraverso l’articolazione della stessa in due spazi distinti ma vicini e collegati. Una sorta di doppio campus, quello scientifico, da potenziare, a Germaneto, e quello umanistico, con tutte le branche delle Scienze Umane, nel Centro Storico. Se nel tempo più urgente fosse risultato difficile, anche per le assurde resistenze dei vertici universitari, collocare all’ex Convento Giurisprudenza, la nostra idea era quella di un Istituto Poliartistico di valenza internazionale. Un Istituto moderno che raccogliesse quel ben di Dio di creatività che va dall’Accademia delle Belle Arti al Liceo Artistico, dal Conservatorio al Liceo Musicale e Coreutico. Che bello sarebbe stato vedere tante ragazze e ragazzi vivere il loro tempo liberato tra una lezione e un’altra e rafforzare sentimenti d’amore o d’amicizia con i libri sottobraccio o gli auricolari in testa, all’interno di quel Chiostro bellissimo. E, perché no? nella chiesetta antica attigua, magari a pregare, o pensare intimo e profondo. Che bello vederli passeggiare, con le borse strapiene sul Corso alla sera, o nelle pizzerie nei bar nei pub nei ristoranti. E nelle trattorie per “u Morzeddru” piccante e afrodisiaco. Sentimentale e poetico. Tutto questo non è avvenuto per la storia a tutti nota, che ha visto protagonista assoluto, con la politica incolta distante e acquiescente, il Procuratore Gratteri, che, con la sua intelligenza e la sua personale visione dell’organizzazione della Giurisdizione, ha saputo realizzare in quel palazzo storico, che egli stesso definisce uno dei più belli d’Italia, la sede autonoma della Procura. Il dott Gratteri, che è magistrato di grande valore, conosce bene il mio pensiero, quando sin da subito, e ripetutamente in seguito, mi opposi alla sua idea e poi alla ferma volontà manifestata nell’indifferenza generale. La conosce bene. E non perché io possa attirare qualche attenzione e di questo spessore, ma perché fui l’unico, o tra i pochissimi che io ricordi( uno è un politico e avvocato molto importante, che poi si fermò), a opporsi all’idea del Procuratore. Ne spiegai le ragioni pure, gli archivi dei giornali potrebbero riportarla in luce. Lo feci con molta educazione attraverso una lettera pubblica che inizia confidenzialmente con “ caro Nicola…”. Gli feci presente che lui, non ancora vissuto pienamente il suo ufficio, e pertanto non conoscitore della Città, nella quale poi non ha abitato, avrebbe dovuto gentilmente considerare che quella sua idea avrebbe inciso sul volto della Città, alterandone la prospettiva futura; che quel progetto per il peso e l’importanza che ha uno degli uffici giudiziari più importanti d’Europa, per il peso notevole e le necessità protettive conseguenti, avrebbe rischiato di ulteriormente dividere, e questa volta al Centro, un territorio già diviso almeno in tre parti, gravemente distanti tra loro. Aggiunsi che quella scelta si sarebbe potuta configurare come scelta politica, che solo a una politica pensosa e non subalterna alla propria ignoranza e insensibilità democratica, spettava fare e nella pienezza della capacità democratica delle istituzioni. Non fui ascoltato e a cosa andò a finire come sappiamo. Per correttezza ed educazione politica non intervenni più sul fatto. Cercai, invece, soprattutto in queste settimane di solenne celebrazione del passaggio del bene tra Comune e Procura, di seguire il detto di mio padre. Vi trovai ragioni sull’opera compiuta e in me l’intelligenza di “ piegarla” alla mia visione di Città, considerata anche la presenza di un Sindaco nuovo e a quella mia idea molto vicino. Pensai in questi giorni e intensamente, atteso che io da piazza Stocco, sgombra da auto e da persone, quotidianamente ci passo più volte( Catanzaro me la godo camminandovi sulla sua pelle e danzandovi sul suo cuore), di scrivere al dott Gratteri una lettera di complimenti, congratulazioni, di buon lavoro, sentimenti sinceri che da qui gli confermo. La sua videointervista a Catanzaroinforma, nella parte in cui tratta del recupero del Convento, mi ha, però, intristito, portandomi a pensare tanto ancora. Quel suo “ bacchettare” la politica, tutta, rimproverare gli intellettuali, tutti(magari ve ne fossero stati e molti sulla posizione del NO), l’ho trovata poco gradevole. E poco elegante. Per questo oggi sono intervenuto. Solo per questo, altrimenti mi sarei limitato a tifare perché tutto ciò che venga fatto a Catanzaro frutti al meglio.E nell’interesse esclusivo dei catanzaresi tutti. Anche per la nuova destinazione di Palazzo Alemanni( apprendiamo della Procura Europea), che con pochi altri si era pensato potesse diventare la sede principale del Rettorato dell’Università UMG della Calabria, felicemente in Catanzaro.
    Franco Cimino

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