E’ disponibile su Spotify “Interno 11” l’ep del chitarrista Marco Russo

Arriva dopo la pubblicazione del singolo “Dio musica” dedicato a Pietro Aldieri

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    Un assaggio della sua musica l’avevamo avuto già qualche settimana fa, quando era uscito il singolo “Dio musica” (qui la sua presentazione) con anche un bellissimo video diretto da Luca Passafaro, e ci era piaciuto tanto.

    Adesso il catanzarese Marco Russo è fresco dell’uscita del suo ep “Interno 11”, che contiene anche quel brano, disponibile su Spotify, pubblicato con la Agharti Records di Daniele Spaziani.

    Interno 11 contiene 5 brani, “Mille collane”, “Parla per noi”, “Dio musica”, “Facciamo finta” e “Ottima scusa”: è un esempio di cantautorato fresco, godibile, una ventata di aria buona che va ben oltre la proposta piatta del commerciale dilagante. «La musica non è fatta di numeri e statistiche – spiega -, non sono gli ascolti a fare un artista. Oggi l’essere musicista senza aver studiato non trova più spazio e stanno comparendo musicisti di peso come Davide Shorty e Venerus che si sono formati in Inghilterra e hanno le loro produzioni a Londra ma fanno musica italiana, per esempio».

    Se gli diciamo di avvertire le influenze di un certo cantautorato italiano, nel suo lavoro, Marco Russo ne è contento ma allo stesso tempo se ne discosta: «Siamo quello che mangiamo, mettiamo la pancia perché mangiamo schifezze, mettiamo gli addominali perché mangiamo verdura – dice, beccato, guardacaso, al termine di un allenamento – .
    Per la musica è uguale, scrivo quello che ho ascoltato: il mio penso sia abbastanza originale come stile, forse c’è un po’ di scrittura degli anni passati, non è una scrittura banale, non è comprensibile al primo ascolto, non è chiara come i testi di oggi, eppure la musica è proprio di oggi.

    Ho collaborato con un produttore elettronico specifico – Francesco Galdieri, ndr – per cercare di creare uno stile tutto mio. Qualcuno mi cita Bersani, Neffa, De Gregori, ma io voglio associare il mio modo di scrivere all’elettronica, ai suoni di oggi». Ad affiancarlo in questo che è il suo esordio cantautorale, ci sono Chiara Della Monica – «una delle voci femminili più forti di tutto il Sud», Federico Luongo, musicista di Rocco Hunt, Francesco Fasanaro alle percussioni, Guido Cascone alla batteria, Vincenzo Evangelista alla chitarra, Massimo Goderecci alla chitarra acustica.

    Catanzarese, come dicevamo, ma cittadino del mondo, Marco ha preso il volo non appena raggiunta la maggiore età. Prima meta Roma, poi Salerno, dove attualmente vive e frequenta il conservatorio, l’idea è spostarsi su Milano, «la mecca della musica in Italia». O forse no: due anni fa «ho girato tutta l’Inghilterra in tenda – ci ha raccontato -. Sono andato a toccare con mano cosa succede da quelle parti, è lì il centro della musica». Trasferimento londinese in vista? Chi lo sa: «Mi condiziona molto il clima – ammette -, per questo non riuscirei mai forse a viverci. Una volta finito il conservatorio ci penserò».

    Per il momento resta l’impegno con la Magistrale, e la speranza di riprendere presto l’attività live, anche dalle nostre parti, con la sua band. «Stiamo iniziando a prendere date in Calabria – afferma -, ma è tutto legato al coprifuoco, speriamo non rimanga entro le 22. Se riaprono i locali fino a tardi, suoneremo tantissimo».

    Non nasconde, poi, che ritornerà volentieri nella sua terra: « La porto sempre con me, è la più bella per quanto riguarda la natura, che amo. Invito sempre tutti a vederla, ovunque vada. E parlo sempre del “mal di Calabria” – dice riferendosi al più noto e nostalgico “mal d’Africa” -. Devo uscire per forza per cercare di costruire con la musica, ne sono obbligato, spero un giorno di tornarci a vivere». Non si può vivere di musica anche da noi? «Purtroppo è un problema di tutto il sud – afferma -, dove fare il musicista è sinonimo stereotipato di nullafacenza. Potrò anche insegnare, certo, ma diciamo che è il mio piano B».

    Un pensiero, prima di salutarci, lo dedica a Pietro Aldieri, il suo personale “dio musica”, il suo maestro “volontario” di chitarra, prematuramente scomparso che lo aveva convinto a studiare per fare del suo sogno la sua professione, preparandolo all’ingresso in conservatorio e al quale ha dedicato il singolo d’esordio: «Solo un dio aiuta il prossimo in cambio di niente», aveva avuto modo di dire. E oggi, a distanza di poco più di due anni dalla sua morte ha un solo rammarico: «mi dispiace che non mi abbia potuto ascoltare dal vivo, che non abbiamo potuto suonare insieme. Sarebbe stato bellissimo».

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