Il cantore di Sky incanta anche il Politeama a Catanzaro

Decine di giovani hanno gremito il teatro cittadino rapiti dalla narrazione dell’Incontro del Secolo, raccontato dall’impareggiabile Federico Buffa

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    “Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”, sentenziò lapidario il titolato José Mourihno ai tempi in cui allenava l’Inter. Una frase che il supertifoso milanista (ironia della sorte) Federico Buffa ha fatto sua, fin da quando la sentì pronunciare per la prima volta dal più istrionico ed egocentrico dei tecnici di football, riuscendo poi a tramutarla – grazie a un’innovativa e geniale operazione culturale – in “Chi sa solo di sport, non sa niente di sport”. E già, perché con la marea di cronisti improvvisati – e inadeguati – in circolazione, uno come Buffa non può che essere un gigante. Una sorta di “Wikipedia vivente” che riesce a parlare di Geopolitica, Sociologia, Economia e Filosofia, per contestualizzare la vita di un atleta straordinario o la genesi di un evento agonistico in grado di calamitare l’attenzione planetaria. Ma chi è Buffa? Semplice: l’uomo che ha portato con pieno successo il teatro in tv. Da ieri sera, però, anche la scommessa vinta dal sovrintendente del Politeama Gianvito Casadonte, che ai primordi del prestigioso mandato ricevuto al momento di inserire nel Cartellone “A night in Kinshasa” del grande Federico era conscio di portare a Catanzaro, peraltro unica tappa del Meridione del tour dell’avvocato-giornalista meneghino, uno spettacolo di nicchia.

    Una proposta per palati fini, dunque non certo pop. Anzi, a rischio di lasciare parecchi posti vuoti in platea e loggione. E invece ecco che in una sera di 44 anni dopo l’Incontro del Secolo, questa versione del racconto dell’epica sfida Alì-Foreman ha ottenuto l’ennesimo successo: riempire il Mario Foglietti di giovani. Ragazze e ragazzi, tutt’altro che habitué del teatro, i quali si sono invece mobilitati in massa per il cantore di Sky, seguendolo con attenzione e ammirazione sin dalla masterclass tenuta nel Piccolo nel tardo pomeriggio. Un prologo in cui l’immenso Buffa si è mostrato per ciò che è: un intellettuale raffinato lontano anni luce dal divismo e desideroso di far appassionare il più alto numero di persone possibile a storie di sport in grado di fare la storia, ma quella con la S maiuscola. Un merito che gli viene universalmente riconosciuto, malgrado molti abbiano lo stesso strabuzzato gli occhi quando a fine esibizione – alle 23.10 circa – lo hanno visto letteralmente assediato da un esercito di under 40, 30 e 20, ma anche da signore e signori ben più maturi a caccia di autografi, foto e strette di mano, con il loro idolo. Un personaggio che sul palco è anche capace di suonare, ballare, cantare, correre e saltare, tutto per far rivivere al pubblico le emozioni del leggendario The Rumble in the Jungle. Un match che avrebbe dovuto e potuto rappresentare un mesto canto del cigno per l’impareggiabile Muhammed (già Cassius Clay), diventato invece il suo capolavoro con cui esce dalla dimensione umana per entrare nel Pantheon degli Immortali. Accade allo “Stadio 20 Maggio” della capitale dello Zaire la notte del 30 ottobre 1974, anche grazie alla strana coppia formata dal manager-galeotto Don King e dal dittatore sanguinario Mobutu. Ed è la realtà che supera la fantasia con un oscuro divino romanziere a cui viene in mente di far ascendere due pugili all’Olimpo e di destinarne uno al ruolo di Re. Per sempre.

    Il riferimento è come ovvio a un Alì che, pur dislessico e per nulla colto, riuscirà a farsi ascoltare dal mondo intero come il più dotato dei leader, sfidando il Governo degli Stati Uniti; i razzisti e gli intolleranti religiosi, e più tardi venendo idolatrato a tal punto da essere tedoforo alle Olimpiadi di Atlanta con una mano resa tremolante dal Parkinson, protagonista di un documentario premiato con l’Oscar, garante del ritorno a casa degli ostaggi americani in Iraq e destinatario di Medaglia della Libertà. Buffa, tuttavia, per descrivere il match tocca temi come la tirannia zairese, il movimento dei Black Phanters portato alla ribalta alla rassegna a Cinque Cerchi di Città del Messico da Thomas Smith e John Carlos, il funzionamento della Corte Suprema Us e la guerra del Vietnam. Il miglior modo per illustrare l’evento più memorabile della Nobile Arte, consumatosi però in un campo di calcio davanti – fra gli altri – a 3.000 giornalisti, fra cui gli italiani Gianni Minà e Rino Tommasi, e sopra a prigioni sotterranee in cui Mobutu si esercitava come fosse al poligono sparando di persona agli oppositori del suo satrapico regime. 

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