Le mani della ‘ndrangheta sul servizio ambulanze, la ‘Quinta Bolgia’

Il paziente è grave, in codice rosso, ma l’operatore dell’ambulanza non sa utilizzare la barella, e lo fa cadere a terra. Non è sfortuna... LA NOTIZIA E I NOMI DI TUTTI GLI ARRESTATI

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    di Antonio Capria

    Il paziente è grave, in codice rosso, ma l’operatore dell’ambulanza non sa utilizzare la barella, e lo fa cadere a terra. Non è sfortuna, né un incidente capitato ad un operatore maldestro. E’ la ‘ndrangheta, che si insinua in ogni settore della vita economica e sociale, come una holding diversifica i propri servizi, non si occupa solo di droga ed estorsioni, ma vuole monopolizzare anche le attività imprenditoriali, soprattutto quelle che entrano nei sentimenti più intimi delle famiglie, la salute, il lutto. 

    La procura antimafia di Catanzaro e la guardia di finanza richiamano Dante e spediscono nella “quinta bolgia” dell’inferno i nuovi barattieri, che traggono profitti illeciti dalle loro cariche pubbliche. Nell’indagine, che si  è avvalsa anche della collaborazione di alcuni pentiti, sono finiti i nomi di imprenditori come Putrino e Rocca, ritenuti legati alla cosca Iannazzo-Cannizzaro-Da Ponte di Lamezia Terme, ma ci sono anche funzionari pubblici, come il direttore generale dell’Azienda sanitaria di Catanzaro Giuseppe Perri, in carica fino allo scorso mese di agosto, e l’ex direttore sanitario Giuseppe Pugliese, il responsabile del servizio 118 Eliseo Ciccone, già coinvolto nell’inchiesta sul servizio di elisoccorso, insieme ad altri due dirigenti dell’Asp, Giuseppe Luca Pagnotta e Francesco Serapide, ed esponenti politici, come il consigliere comunale di Lamezia Luigi Muraca e l’ex parlamentare ed ex sottosegretario Giuseppe Galati.

    Tutti coinvolti a vario titolo in un’inchiesta condotta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro e dallo Scico di Roma e  coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dai sostituti Elio Romano e Vito Valerio, che hanno ottenuto dal gip Barbara Saccà un’ordinanza di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari per 22 soggetti (due dei quali, Strangis e Ciccone, raggiunti da due distinti provvedimenti)  nell’ambito di due filoni che riguardano, il primo, il controllo manu militari dell’ospedale Giovanni Paolo II di Lamezia Terme, che aveva consentito al “cartello” Putrino e Rocca di estromettere la concorrenza dalla fornitura di ambulanze per il servizio di pronto soccorso e dalla gestione dei servizi di onoranze funebri, il secondo, nome in codice “Gerione”, l’affidamento diretto del servizio sostitutivo di ambulanze in regime di urgenza, che avrebbe fatto emergere accordi corruttivi con i dirigenti dell’azienda sanitaria. 

    In questo scenario emerge l’interessamento di Muraca e Galati che avrebbero fatto, secondo quanto riferito dagli inquirenti, “da anello di congiunzione tra il contesto ‘ndranghetistico e la dirigenza dell’Asp”.

    IL RUOLO DI GALATI. L’ex parlamentare, secondo quanto emerso dall’attività di intercettazione, sarebbe intervenuto nei confronti dei vertici dell’Asp, e in particolare del direttore sanitario Pugliese, per favorire l’affidamento del servizio di ambulanze a Putrino al quale, secondo gli inquirenti, Galati sarebbe stato debitore in quanto aveva assunto una persona da lui indicata, e poiché aveva effettuato gratuitamente le esequie del padre. La Procura ha documentato almeno tre incontri, presso l’aeroporto di Lamezia Terme, presso una concessionaria di automobili lungo la ss280 e in ristorante di Gizzeria Lido. Galati si sarebbe accorto di essere pedinato, e per questo aveva deciso di sporgere denuncia presso l’Ispettorato di Ps della Camera dei Deputati, sostenendo di essere preoccupato per la propria vita. La Procura di Roma, per competenza territoriale, trasmette la denuncia alla Procura di Lamezia, che apre un fascicolo. “Si scopre così – ha spiegato il procuratore Gratteri – che a fare gli accertamenti su Galati era la Guardia di Finanza”

    IL CARTELLO I due gruppi imprenditoriali inizialmente concorrenti, avevano nel tempo stipulato una sorta di pax e operavano, secondo gli inquirenti, avvalendosi del potere intimidatorio derivante dalla loro appartenenza alla criminalità organizzata, realizzando nel corso degli anni, un assoluto monopolio nei settori di loro interesse . Il “gruppo Putrino” sarebbe riuscito dal 2009 ad acquisire una posizione di dominio nel mercato, aggiudicandosi la gara d’appalto relativa alla gestione del servizio sostitutivo delle ambulanze del “118” bandita dall’Asp di Catanzaro. Dal 2010 al 2017, il gruppo imprenditoriale coinvolto avrebbe operato In assenza di una gara formale, a seguito di proroghe illecite, “in alcuni casi – scrivono gli inquirenti – addirittura tacite, ottenute in considerazione dei privilegiati rapporti tra i vertici del gruppo criminale e numerosi appartenenti di livello apicale dell’Asp di Catanzaro all’epoca in servizio, tra i quali Giuseppe Perri, commissario straordinario e poi direttore generale fino all’agosto 2018, Giuseppe Pugliese, direttore amministrativo fino all’ottobre 2017 ed Eliseo Ciccone, all’epoca dei fatti contestati responsabile dei “118” prima di essere destinato ad altro incarico, nei cui confronti vengono indicati diversi episodi di abuso d’ufficio. Nel 2017 la ditta Putrino era stata colpita da un provvedimento interdittivo antimafia emesso dalla Prefettura di Catanzaro.  Ne aveva approfittato il “Gruppo Rocca”, che, a sua volte forte dell’illecita concorrenza con cui era stato conquistato il mercato unitamente al Gruppo Putrino, aveva iniziato la sua attività nel servizio pubblico come capofila di una associazione temporanea di scopo. Ma l’accaparramento del servizio non solo era avvenuto in spregio alle norme che tutelano la concorrenza e il libero mercato, ma anche con un totale disinteresse alla qualità del servizio offerto agli utenti in un settore delicato quale quello del soccorso di emergenza. 

    AMBULANZE INADEGUATE. Freni e luci non funzionanti, cambio difettoso, problemi alla frizione, revisioni non effettuate. Almeno sette delle dodici ambulanze che i gruppi imprenditoriali coinvolti nell’operazione della Guardia di Finanza fornivano all’Asp erano dei veri e propri rottami. Le indagini avrebbero fatto emergere, secondo quanto scrivono gli inquirenti, “un’allarmante carenza tecnica e organizzativa” in capo all’associazione temporanea di scopo di cui era capofila la “Croce Bianca”, ente controllato dal gruppo imprenditoriale Rocco che con la ditta Putrino monopolizzava le forniture. Le ambulanze, secondo quanto riscontrato dalle fiamme gialle, erano inadeguate non solo da un punto di vista meccanico, ma anche rispetto alle necessarie dotazioni elettromedicali: mancavano termoculle per il trasporto di neonati, l’ossigeno era scaduto o addirittura mancava. Non meno preoccupante è quanto emerso in merito all’impiego del personale, non qualificato e non provvisto delle adeguate abilitazioni professionali.  L’Asp avrebbe potuto acquistare le ambulanze per poter sopperire alle carenze di mezzi del servizio pubblico 118, ma, hanno spiegato gli inquirenti, il relativo bando di gara è stato fermo per anni. 

    IL DOMINIO SULL’OSPEDALE DI LAMEZIA. Il dominio esercitato sull’ospedale di Lamezia Terme specie all’interno del reparto di pronto soccorso, era tale che gli accoliti dei due gruppi criminali avevano imposto un controllo totale occupando “manu militari” i reparti, assoggettando il personale al punto da avere la disponibilità delle chiavi di alcuni reparti dell’ospedale, la possibilità di consultare i computer dell’Asp per consultare le cartelle cliniche ed avere informazioni sulle condizioni dei degenti, l’ingresso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso. Una situazione “ben nota”, secondo la Dda, alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Gli inquirenti hanno citato il caso di una dottoressa che, per accedere al proprio reparto, ha dovuto attendere per un quarto d’ora l’arrivo dell’addetto della agenzia di pompe funebri che era in possesso delle chiavi della porta. 

    IL MONOPOLIO SUL BUSINESS DEL “CARO ESTINTO”.  Gli investigatori hanno acquisito la prova certa del controllo della criminalità organizzata sul business del “caro estinto”.  Dall’inchiesta è emerso anche che gli operatori delle onoranze funebri al servizio dei gruppi criminali facevano persino pressione sulle famiglie colpite da un lutto. In un caso accertato dalla Guardia di Finanza, gli operatori delle pompe funebri “arrabbiati per aver – come dicevano loro in un’intercettazione – ‘perso’ un defunto in quanto pochi giorni prima di spirare era stato trasferito dall’ospedale in una clinica privata, erano entrati nella baca dati dell’ospedale per recuperare i dati di questo malato e reperirlo nella clinica privata. E i due necrofori avevano ricevuto dai loro referenti delle cosche la precisa disposizione di temporeggiare nell’avvisare i familiari di un defunto in modo da avvisare prima i gruppi criminali.

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