Cassazione, impiegata ‘mobbizzata’ da Inps vince ricorso

Ha diritto a conoscere curriculum del capo. Confermata decisione della Corte d'Appello di Catanzaro 

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    Vittoria in Cassazione per Maria Teresa Arcuri, la dipendente dell’Inps – il cui caso è stato sollevato dalle ‘Iene’ – punita con sanzione disciplinare per aver osato chiedere alla Direzione centrale delle Risorse umane dell’istituto diretto da Tito Boeri l’accesso agli atti per conoscere “i requisiti e il percorso professionale” della sua dirigente, sospettando che non avesse sostenuto alcun concorso pubblico. La Suprema Corte non solo ha confermato l’illegittimità del rimprovero scritto – come stabilito dalla Corte di Appello di Catanzaro nel 2017 – ma ha anche condannato l’Inps a pagare tutte le spese dei tre gradi di giudizio pari a quasi 20mila euro. Per gli ‘ermellini’, correttamente si è concluso “nel senso dell’assenza di profili di rilevanza disciplinare nel comportamento della dipendente, considerato anzi espressione dei generali doveri di cura del pubblico interesse cui i lavoratori pubblici dovrebbero sempre conformarsi”. In pratica, gli statali hanno il diritto di sapere se i loro capi hanno le carte in regola o se hanno ricevuto un ‘aiutino’ per occupare la poltrona. Per tutti gli aspetti di rilevanza penale e contabile di questa storia ‘opaca’ gli atti sono stati mandati alle magistrature competenti. L’impiegata aveva chiesto lumi sulla sua ‘capa’ in quanto dal curriculum pubblicato sul sito dell’Inps – scrive la Cassazione – “si desumeva che la dirigente aveva ricoperto incarichi sia presso il Ministero delle Finanze sia presso l’Inps in seguito ad una procedura di mobilità originata da una prima esperienza di dirigente presso il Consorzio tra i comuni della Provincia di Crotone, ente pubblico economico, cui si accede senza concorso pubblico”. Maria Teresa non ebbe risposta dalle Risorse umane e allora si rivolse alla segreteria tecnica del Collegio dei sindaci dell’Inps e alla segreteria del magistrato della Corte dei Conti delegato al controllo sulla gestione dell’Inps. Dopo questi passi, all’impiegata arrivò una risposta dalla Direzione delle Risorse Umane che le negava l’accesso agli atti dicendo che non aveva un “interesse diretto, concreto ed attuale” idoneo a giustificare “l’accesso ai dati richiesti”. Passa un mese e a Maria Teresa l’Inps ha contesta “la violazione del principio di correttezza verso l’Amministrazione per l’invio dell’istanza al collegio dei sindaci dell’Inps e al magistrato della Corte dei Conti delegato al controllo”. “Al di là degli aspetti squisitamente penalistici, quel che è certo – conclude la Cassazione nel verdetto 28923 depositato oggi – è che la vicenda si caratterizza per la presenza di notevoli profili di illiceità che la Arcuri con la sua istanza di accesso agli atti voleva chiarire, mentre il rigetto dell’istanza e l’irrogazione della sanzione disciplinare risultano oggettivamente finalizzati ad occultare l’accaduto”.

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