LA STORIA- Alessandro, la sindrome di Barrè scopre un campione di vita

Una mattina si sveglia ed è paralizzato dagli arti inferiori, ma lo sport e la famiglia lo rimettono in piedi 

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    di Gianluigi Mardente 

    E’ una di quelle storie che devi ascoltare con l’anima, perché orecchie e cuore non bastano per sentirla fino al suo profondo. E’ una storia di vita , dolore, amore, sconforto, forza e coraggio. E’ soprattutto una storia di speranza, di  insegnamento e di valori. Lasciate perdere quelle storie in cui c’è il lieto fine e prima del “the end” ti lasciano l’illusione che nessun dramma o dolore può cambiare una vita, perché in fondo “tutto tornerà come prima” e la notte lascerà spazio al sole senza nemmeno una nuvola in cielo. Nossignore. Questa è una storia vera, di vita vissuta. E nella vita le cose cambiano e in una esistenza terrena un uomo deve fare i conti con la stessa vita ed amarla anche quando lei è “bastarda” e ti tradisce in una calda notte d’estate. In fondo la vita non si misura con la morte, la vita si misura con la vita e i suoi dispetti che a volte sono autentiche coltellate. Ma solo tu, sempre e solo tu, puoi decidere se morire dissanguato oppure leccarti le ferite e continuare a vivere con una piaga che può diventare la tua forza o con un handicap che può renderti differente dagli altri ma soprattutto diverso da te. Questa è una storia da bersi le lacrime. Questa è la storia di Alessandro Rubino.

    QUELLA MATTINA, GAMBE PARALIZZATE: Alessandro ha 39 anni, sposato con Tiziana Armignacca, padre di due figli di 6 e 5 anni. E’ un imprenditore ed è da poco rientrato dalla Germania dove aveva un locale che andava benissimo ma suo figlio Leonardo si ammala e i medici sono chiari: “deve stare vicino al mare e al sole. In montagna, qui in Germania, rischia di morire”. Alessandro apprende la notizia una mattina alle ore 10, il giorno dopo alle ore 12 è già rientrato a Catanzaro per sempre. Locale chiuso in 24 ore dopo tre anni di duro lavoro. La sua idea di imprenditore non muore mai e in città guida le aziende di famiglia: il parcheggio di via Fontana Vecchia e un bellissimo locale nel quartiere Lido. La vita gli sorride tra lavoro, famiglia e sport. Già, lo sport. “Sono sempre stato un atleta – dice commosso – e ho fatto arti marziali per molto tempo. Ma un giorno…”. Alessandro e la moglie Tiziana organizzano un grande evento il 16 giugno del 2017 nel loro locale marinaro, chiudono la saracinesca alle 6 del mattino. Tutti a nanna. Dopo un’oretta Alessandro si sveglia, non sente più le gambe e pensa di averle semplicemente addormentate. E invece no. Scende dal letto e crolla. Non le sente più, non le muove più, è paralizzato. La corsa in ospedale, il ricovero, la diagnosi dopo 15 giorni a Germaneto: Alessandro è stato colpito dalla sindrome di William Barrè, fulminante. E’ una malattia neurodegenerativa che non ti porta alla morte ma ti costringe alla sedia a rotelle. La vita di Alessandro e della sua famiglia cambiano per sempre. Per sempre. Per sempre. “Sono stato travolto dal dolore  – dice Alessandro con il magone in gola – e non sapevo cosa fare. In quei momenti ero in un vortice di emozioni ma non volevo mollare per il bene della mia famiglia: con loro sorridevo, da solo piangevo. Mia moglie è stata la mia forza e da subito ho capito di essere un uomo fortunato”. Mentre Alessandro parla, Tiziana è con noi: si guardano e brillano gli occhi. Lei ha un filo di voce, ma ce la fa e spiffera: “Non potevo abbandonarlo, se avessi mollato e se mi avesse visto giù di morale sarebbe crollato”. E se le domandi: Tiziana, quanto hai sofferto?  Lei non risponde, muove solo gli occhi e piega il suo labbro superiore pronto a sprigionare un urlo. Ma la dignità lo fa tacere. Alessandro dice di aver lottato grazie alla buona sanità in Calabria, con i dottori Gambdardella, Quattrone e soprattutto Bosco di Crotone che gli fa capire che la battaglia si vince, ma la vita è cambiata. “Camminerai , a fatica, solo se farai tantissimo sport. Quando ti fermerai, sarai un uomo sulla sedia a rotelle”. Alessandro entra in crisi, da settembre a novembre lo sconforto va a fargli visita e non lo lascia mai. Mai.

    IL TENTATO SUICIDIO: Alessandro sta a casa tutto il giorno, non vuole uscire, non vuole vedere nessuno. Un ex atleta di arti marziali che ormai pesa 130 chili e conosce solo letto e sedia a rotelle. “Sono entrato in depressione- ci spiega – dopo i primi mesi di lotta. Mi sono rinchiuso in me stesso e ho pensato di farla finita. Un giorno ero solo a casa e ho deciso di buttarmi dal balcone. Ero quasi riuscito a portare le ruote della carrozzella sulla ringhiera per darmi lo slancio quando sono entrati mia moglie e i miei due figli. E’ stato un attimo, mi sono detto: ma che sto facendo?”. Alessandro capisce che è ad un bivio: o accetta che la sua vita è cambiata e con lo sport può ritornare a camminare con le stampelle per tutta la vita fino a quando stabilisce di voler stare in carrozzina; oppure si butta giù. Sceglie la seconda, sceglie un’altra vita. “Una vita che non sarà mai la stessa, ma forse è migliore”.

     

    IL CROSSFIT E LE GARE DA CAMPIONE: “Se ce l’ho fatta io, potete farcela anche voi. Voglio che chiunque sappia questo. Noi diversamente abili dobbiamo prendere coscienza che la nostra vita è diversa, ma non per questo peggiore di altre. Io grazie alla mia malattia ho capito le priorità di vita e solo oggi riconosco l’importanza di stare con i miei figli anziché lavorare 24 ore al giorno. Vedo le cose da un’altra prospettiva, mi misuro con me stesso, so che domani tutto può cambiare e allora mi godo il presente. Mi godo oggi. E me lo godo allenandomi 6 giorni su 7 nella disciplina del Crossfit. Risultato? Ho battuto i normodotati nella Heracleses di questa estate. Si, sono arrivato primo. Sono arrivato davanti a tutti. Ho avuto diversi istruttori, tutti molto bravi ad allenarmi ma pochi bravi nel capire che io mi alleno come un normodotato. Io voglio da loro il 110%, non voglio che mi passano il peso, non voglio che rallentino la seduta. No, non voglio. Voglio arrivare al mio massimo per poi dedicarmi all’insegnamento di questo sport per gente disabile. Voglio che si fermino durante l’allenamento solo durante gli spasmi alle gambi di cui soffro, ma poi si riparte più forte di prima. Voglio fare doppie sedute e voglio far capire ai miei figli cos’è la vita: non sai cosa può succederti, ma devi avere un obiettivo. Voglio che mia moglie continui ad allenarsi con me, cosa che sta facendo soltanto da quando sono malato. Parteciperò il prossimo mese di gennaio alla gara nazionale Adaptive di Crossfit a Palermo, ma non importa. Perché io voglio partecipare alle gare nazionali di Roma dei normodotati e voglio allenarmi per superare le qualificazioni. Si, perché quando sarò lì voglio urlare al mondo il messaggio di speranza che questa malattia mi ha insegnato a guardare. Dopo farò un’associazione per far conoscere la sindrome di Barrè e aiutare ragazzi come me”.  

    Alessandro esce dal suo ufficio, noi siamo ancora emozionati e scossi ma con un bagaglio di umanità molto più ricco. Chiede alla moglie di spostare le auto , poi sorridendo ci dice: “Io posso spostare solo quelle col cambio automatico, muovo le gambe leggermente ma i piedi no. No, i piedi non li muovo per niente”. Le sue stampelle lo portano a braccetto, ma sono la moglie e i figli i bastoni di una vecchiaia che sembrava già arrivata e invece risulta ancora molto lontana. Crediamo che Alessandro debba raccontare la sua storia con la sua voce, i suoi occhi e le sue emozioni in giro per le scuole. In fondo, da una malattia, si può capire che un giorno tutti dovremo morire. Già, un giorno, ma oggi no.

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