Operazione Dda di Catanzaro fermato patriarca dei Mancuso

In manette nel Vibonese anche un suo sodale


Un’operazione dei carabinieri della Compagnia di Tropea è in corso, col coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, per l’esecuzione di un decreto di fermo a carico di due persone accusate in concorso di estorsione. In manette sono finiti un esponente apicale della famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso e un suo sodale. I particolari verranno forniti in mattinata nel corso di una conferenza stampa che si terrà al Comando provinciale carabinieri di Vibo Valentia alla presenza del capo della Dda di Catanzaro Nicola Gratteri. (ANSA).

Aggiornamento ore 12.56: 

E’ Antonio Mancuso, di 81 anni, l’esponente apicale della cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso fermato per estorsione dai carabinieri della Compagnia di Tropea in esecuzione di un provvedimento della Dda di Catanzaro. Insieme a uno dei patriarchi della famiglia è stato fermato Alfonso Cicerone (45), di Nicotera. Nell’inchiesta sono indagati in stato di libertà altre 5 persone, Giuseppe Cicerone (88), Salvatore Gurzì (34), Andrea Campisi (37), Rocco Amico (38) e Francesco D’Ambrosio (39), tutti residenti a Nicotera. Secondo l’accusa, gli indagati, a vario titolo, dal gennaio al marzo del 2018 avrebbero indotto la vittima dell’estorsione ad accettare di estinguere il residuo di un debito – inizialmente di 100 mila euro, rilevato da Mancuso e relativo alla cessione di un magazzino acquistato dal commerciante estorto – versando 15mila euro ogni tre mesi, somma poi ridotta a 5mila, sempre trimestralmente. Secondo quanto emerso dalle indagini, Alfonso Cicerone, alla presenza di Antonio Mancuso, avrebbe urlato in tono minaccio verso la vittima, intimandole di consegnare la quota dovuta a qualsiasi costo e di non far fare una brutta figura allo zio Antonio; quindi nei giorni successivi, i due indagati avrebbero intimato alla vittima di togliere entro due giorni tutti i mobili dal suo negozio di arredamenti con frasi del tenore “Non aprite la serranda che mi inca…”, “o porti i soldi entro sabato oppure lunedì non aprire”. In più avrebbero chiesto al commerciante di prendere i soldi a usura dallo stesso Mancuso, ottenendo, così, la consegna in contanti di ulteriori 5mila euro. Cicerone avrebbe poi riferito alla vittima che era stato deciso di picchiarla e che ciò non era avvenuto solo perché lui si era opposto. I soprusi sono andati avanti anche quest’anno, con Cicerone che, con tono minaccioso, avrebbe urlato alla vittima “Hai preso per il culo mio zio Antonio. Entro domenica mi devi dare i soldi e martedì, se non vuoi consegnarmeli, devi stare chiuso. Siamo arrivati a questo punto perché c’è mio zio Peppino Cicerone di mezzo altrimenti io avrei già preso provvedimenti”. Antonio Mancuso avrebbe poi riferito alla vittima che i 5mila euro versati mensilmente erano da considerarsi quale affitto dei locali, in realtà di proprietà del commerciante e non andavano a decurtare il debito residuo. Non solo, il boss, avrebbe imposto al commerciante di affiggere alla propria attività il cartello “Vendesi”. Nel giugno scorso Mancuso avrebbe preteso il pagamento di ulteriori 11.500 euro. (ANSA).