Dietro le quinte della visita di Giovanni Paolo II a Catanzaro

Il ricordo della visita del Santo Padre nel capoluogo di Sergio Dragone


di Sergio Dragone – Nessuno si aspettava la “bomba”. Marcello Furriolo, il più fantasioso e creativo sindaco che Catanzaro abbia mai avuto, aveva custodito gelosamente il segreto fino all’ultimo istante. Non ne aveva parlato nemmeno con Saro Ocera che non era solo un giornalista, ma la sua fedele ombra e il suo principale consigliere. Meno che meno con me. Mi stimava, c’era una grande amicizia tra noi, ma ero pur sempre un socialista di cui diffidare.

Era la conferenza stampa annuale del sindaco. Dovevamo parlare di grandi opere, del teatro Politeama, del Complesso Monumentale del San Giovanni, della Funicolare, della metanizzazione. E invece ecco la “bomba”, inattesa, il colpo di teatro. 
Lo ricordo come fosse oggi. Ci trovavamo nella sala della giunta, dall’alto ci guardavano i ritratti ad olio dei vecchi sindaci, sulle sedie decine di giornalisti, gli assessori seduti al fianco del primo cittadino.
“Signori, è con grande emozione che vi informo che il Santo Padre, Sua Santità Giovanni Paolo II, verrà ad ottobre in Calabria e nella nostra Città. Nove secoli dopo Callisto II”.
Come? Una notizia del genere non proviene dalla Curia, ma dal sindaco! Una cosa concordata oppure una furbata da campione della comunicazione? Non lo sapremo mai.

Ricordo solo che i due responsabili delle principali agenzie di stampa, Franco Scrima dell’Ansa ed Enzo De Virgilio dell’Agi, si fecero largo a gomitate, rischiando di rotolare a terra, per raggiungere il primo telefono utile per dettare la sensazionale notizia alle redazioni. Il Papa nella Regione più lontana, povera e disperata d’Italia. Il tacke dell’Ansa precedette di soli 30 secondi quello dell’Agi. Non c’erano i telefonini. Giornalismo d’altri tempi!
Nemmeno immaginavo che stava per iniziare la mia più incredibile, inverosimile e sensazionale esperienza professionale. Si, perché Marcello Furriolo – anche per non privarsi del fondamentale contributo quotidiano di Saro Ocera – mi convocò per dirmi che avrei dovuto sbrigarmela io, non solo per organizzare i servizi stampa dell’evento, ma anche per tutta una serie di incombenze collaterali, compresa la logistica, la gestione dei pass in una città che doveva essere necessariamente blindata. Catanzaro sarebbe stata invasa da non meno di duecentomila persone.
Conoscendo il carattere accentratore di Furriolo, fui piuttosto sorpreso della “proposta”.

“Ma perché proprio io ?”, gli chiesi. “Perché hai trent’anni e puoi permetterti di non dormire per qualche mese”, rispose con la sua consueta e insopportabile ironia. “E poi Saro ti darà sempre un’occhiata”.
Marcello inaugurava la stagione dei giornalisti che non si limitano a scrivere, ma che pensano e agiscono.
Mi sono tuffato in quell’avventura con l’incoscienza tipica dell’età e con il necessario bagaglio di presunzione. Si formò una bellissima squadra, composta da elementi provenienti da vari uffici, tutti a lavorare con me. Ricordo Serenella Toscano, Rosaria Alfieri, Alfonsina Trapasso, Rosalba Piscioneri e tanti altri. Chiedo perdono per le dimenticanze, è passato così tanto tempo.
Ricordo invece perfettamente le settimane di riunioni, al Comune, alla Curia e in Prefettura, i contatti frenetici con il Vaticano, il difficile coordinamento con Polizia di stato e carabinieri, la stampa dei pass ufficiali.

Su tutti l’occhio paterno e vigile di monsignor Antonio Cantisani, il vero artefice di quella storica visita.
Marcello – che sovrintendeva in maniera maniacale ogni passaggio dell’operazione – si dedicava maggiormente agli aspetti culturali e di immagine. Decise di commissionare un’opera originale sull’evento al grande maestro Mimmo Rotella, da cui stampammo più di trentamila cartoline e centinaia di manifesti. Al maestro orafo Gerardo Sacco commissionò il meraviglioso crocifisso con le jannacche che il Pontefice ha poi destinato ai Musei vaticani. 
Giorni e giorni di lavoro febbrile. C’erano da sistemare il palco in piazza Prefettura, gli addobbi, l’amplificazione, i fotografi ufficiali, curare in ogni dettaglio il protocollo in stretto contatto con gli inviati della Santa Sede. Uno, in particolare, era particolarmente spigoloso ed esigente. Si chiamava Celentano, si proprio come il cantante, ed io credevo fosse un alto prelato. Invece era un laico, dipendente del Vaticano, che non disprezzava il nostro cibo e il buon vino. Lo chiamavo “don Celentano” e lui s’incazzava di brutto.
Ma i problemi più grossi ce li creava la logistica. Attendevamo duecentomila persone, tra il percorso e la gente che avrebbe atteso il Papa allo stadio per la celebrazione della Messa. 
Si prese una decisione drastica: la città veniva praticamente blindata. Solo chi aveva il pass di servizio poteva transitare. Nella mia borsa c’era l’elenco completo delle centinaia di persone – tra forze di polizia, carabinieri, stradale, finanza, tecnici ed operai del comune, vigili urbani, autorità, giornalisti – che avevano facoltà di raggiungere Catanzaro in auto.

Prendemmo in fitto dalla Ponteggi Dalmine, l’unica ditta autorizzata, chilometri di transenne da posizionare nei punti strategici della città. Spuntò anche il problema della strada che dal campo di Catanzaro Sala, dove sarebbe atterrato l’elicottero con il Pontefice, portava sulla Due Mari. Risolse tutto, con un impegno straordinario l’ingegnere Pino Cardamone, aprendo un varco nel muro e livellando il terreno in modo da farlo superare agevolmente dalla “papa-mobile” e dalle altre auto del corteo. Tutto il personale del Comune, all’epoca circa mille persone, era mobilitato.
C’era anche una questione sicurezza da non trascurare. Solo tre anni prima, il Lupo Grigio Alì Agca aveva attentato alla vita del Pontefice in piazza San Pietro. Niente doveva essere lasciato al caso. Le forze di polizia fecero un lavoro a dir poco eccellente.
Apprestammo anche la sala stampa allo stadio. Arrivavano richieste di accredito da ogni dove, televisioni, radio, carta stampata, agenzie. Telespazio, in sinergia con RTC, confezionò un’irripetibile diretta per quei tempi. Un capolavoro di Tony Boemi.

La notte precedente al grande evento Marcello e io, completamente sfatti, ci ritrovammo in piazza Prefettura. Giovanni Paolo II era già atterrato a Lamezia Terme con un volo di Stato e poi aveva raggiunto in elicottero il santuario di San Francesco di Paola, dove aveva riposato.
Con l’ultimo residuo di energia, il sindaco di una città più felice di quella attuale si mise a sistemare un tappeto rosso sul palco. “Mi sembra un po’ storto, che dici ?”. Mi misi a ridere come un matto.

Dopo poche ore, all’alba, eravamo già in movimento. Io avevo il compito di sorvegliare il campo di Sala e badare che tutto filasse liscio. Marcello invece rimase al centro, a rivedere il suo discorso di benvenuto al Pontefice. Le “mie ragazze” erano tutte al loro posto nella sala stampa dello stadio.
Quando l’elicottero si posò sul campo sterrato di Sala, sollevando un polverone come quelli del Sahara, un brivido mi corse lungo la schiena. “E se qualcosa va male ? Ma perché mi sono preso questa rogna ?”. Questo “panico da evento” mi ha sempre e costantemente accompagnato nella mia vita professionale.
Ero tra i pochi fortunati che poterono avvicinarsi al Pontefice mentre scendeva dall’elicottero. Mi apparve immenso, altissimo, con la carnagione cerulea, un sorriso dolce e intenso. Mi tremavano le gambe, ma riuscii ugualmente ad inginocchiarmi e baciargli la mano. Poi, di corsa, a raggiungere piazza Prefettura.
Andò tutto bene quel giorno. La mia meravigliosa e stupenda Catanzaro accolse il Santo Padre in un tripudio di gioia e di speranza. Ando tutto bene. All’Arcivescovado, al Duomo, in piazza Prefettura, al piazzale dell’ospedale “Pugliese”, allo stadio, fino alla ripartenza dell’elicottero dal campo “B”.
C’è una bellissima copertina de “U’ Vanderi” che ritrae la “papa-mobile” davanti al Cavatore. E’ incorniciata e fa bella mostra di sé alle spalle della mia vecchia scrivania nell’ufficio stampa di Palazzo De Nobili.

E’ il ricordo incancellabile di una straordinaria avventura professionale, ma anche di uno sforzo corale di una città che, quando vuole, diventa grande, grandissima. Caput Mundi per un giorno.