L’eterno ritorno Il Ponte unisce, il Ponte divide

Si ripropone l’eterno dilemma del ponte sullo Stretto. Dal “Se non ora quando” della presidente Santelli all’”Opera inutile e dannosa” del 5S D’Ippolito, passando per i pareri inediti di Orsomarso (FdI) ed Esposito (CdL)

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    Risale agli anni Cinquanta del secolo scorso, a opera di Jerome D. Salinger, una delle domande più angoscianti della letteratura mondiale, per di più senza risposta: In inverno che fine fanno le anatre di Central Park?”. Il giovane Holden non lo saprà mai, e nemmeno noi.

    Non volendo neanche lontanamente porre paragoni tra le due opere, da qualche giorno, diciamo dall’inizio di giugno, da quando circola in libreria la nuova fatica libraria di Matteo Renzi, un altro tenebroso enigma si è insinuato nella mente dei lettori. Ne “La mossa del Cavallo” il leader di Italia Viva ritorna a proporre il Ponte sullo Stretto come opera non solo fattibile ma addirittura salvifica, ritenendolo efficace antidoto alla povertà, certo molto più efficace del reddito d’emergenza. Il nuovo approccio fideistico alla grande opera ha di riflesso provocato diverse rievocazioni storiche sul tema, ricorrente da ormai diversi decenni. Tutte le rievocazioni iniziano da un episodio che si perde nella notte dei tempi, addirittura al 241 a.C., prima guerra punica, allorché il console romano Lucio Cecilio Metello, che aveva sgraffignato ben 140 elefanti al cartaginese Asdrubale, aveva il problema di come farli arrivare a Roma essendoci i tre chilometri di mare a separare Sicilia da Calabria. Narra Strabone che il console ordinò di legare una botte vuota di vino all’altra fino a congiungere i due opposti lidi. Di più non si sa. Le nuove domande angoscianti sono due. La prima, che ricalca quella del giovane Holden, è: “Ma poi, ce l’hanno fatta gli elefanti a raggiungere Villa San Giovanni?”. La seconda, ancora più tormentosa della prima è: “Ma che fine hanno fatto i milioni di ettolitri di buon Nero d’Avola sacrificati al primo attraversamento dello Stretto?”.

    Sul ponte si potrebbe dire di tutto e di più. Visto che ormai siamo un po’ tutti viro-epidemiologi, si può partire dal considerarlo come una sorta di influenza stagionale, che va e viene secondo come gira alla virulenza dell’agente. Basta che un poco si abbassino le difese immuno-politiche ed ecco che la febbre da Ponte riesplode, contagiando tutti in un battibaleno. Il paziente 1 è stato il ministro Dario Franceschini, alla ricerca costante dell’Ottava nuova Meraviglia del mondo, che forse per non scoprire subito le carte, ha pudicamente parlato “solo” “dell’Alta velocità che arriva anche in Sicilia”. Sottinteso, sopra il Ponte. Da lì, l’interesse è tornato a crescere e a espandersi, e l’impressione è che ancora non ha raggiunto l’acme.

    Inutile, o quasi, ripercorrere la lunga teoria di autorevoli impulsi all’avvio della grande opera. Forse è curioso ricordare che se ci fosse ancora Lui, il Ponte ci sarebbe e come, visto che il duce aveva promesso che, finita la guerra, un pilone qui, un’arcata lì, e il Ponte che ci vuole, e bell’e pronto. Poi, altro momento fondamentale, nel 1971 si istituì a Roma la “Società pubblica Stretto di Messina”. Da allora, un progetto oggi uno studio di fattibilità domani, un consulto di advisor qui un lodo arbitrale lì, qualcuno ha calcolato che se ne sono andati più di 300 milioni solo per non fare morire l’idea, anche se dal 2012 la società è in liquidazione. Momento memorabile quando, 2001 nel salotto di Vespa, Silvio Berlusconi inserì il Ponte nel “Contratto con gli italiani”.

    I calabresi, informatissimi per via della notevole pressione mediatica esercitata in favore dell’impresa dalla “Gazzetta del Sud”, da allora hanno convissuto con l’altalenante dilemma pro o contro il ponte atomico. Molto dipende da che giunta tira. Quella Loiero imbastì una lotta serrata contro la Società, che sul piano legale la vide vincente. Su quello storico, a sentire le ultime sirene, le cose stanno un po’ in bilico. Forse perché da qualche giorno aleggia nell’aria l’aurea d’oro dei 170 miliardi del Recovery Fund che, a detta di esperti, nessuno sa come spendere. E allora, ecco, per restare nei “sacri confini” della Calabria, la presidente Jole Santelli che sul ponte sullo Stretto dice: “Sono favorevole alla costruzione di una straordinaria infrastruttura pubblica, che – oltre a dimostrare al mondo le grandi capacità progettuali e ingegneristiche del nostro Paese e a collegare, finalmente in modo efficiente, la Calabria e la Sicilia – avrebbe il merito di ridare fiato all’economia nazionale in un momento di grave crisi e di creare migliaia di nuovi posti di lavoro. La domanda che tutti dobbiamo porci non è se realizzare o meno il ponte sullo Stretto, ma questa: se non ora, quando?”.

    Da qui, il dibattito si è sviluppato secondo i prevedibili binari. Sfavorevole, al momento, il consigliere Pd Domenico Bevacqua, che pure è un “franceschiniano” di ferro: “La presidente Santelli si limita a riprendere la stanca questione del ponte sullo Stretto, lo fa perseverando nello stesso errore di sempre: il ponte non può unire due deserti. Al ponte si può pensare soltanto come al terminale di un processo infrastrutturale organico. Chi si ostina a proporlo come una bandierina politica fine a se stessa e da riesumare di tanto in tanto, non solo non ha alcuna intenzione di favorirne la realizzazione ma, soprattutto, non si rende conto che prima deve essere garantita una mobilità degna di questo nome in tutto il territorio regionale”.

    Secondo l’assessore calabrese alle Attività economiche Fausto Orsomarso, Fratelli d’Italia, “la presidente Santelli giustamente dice: se non ora quando.  Questo ponte è stato divisivo per tante ragioni, ambientali prima di tutto. È ovvio che potrebbe diventare un’opera strategica, un grande attrattore che collega la Penisola alla Sicilia. Dopo l’esperienza di Genova, attuando lo stesso meccanismo, no burocrazia, no tangenti, no ‘drangheta, può diventare un’opera da costruire in due o tre anni. Consideriamo un altro aspetto: in Calabria e Sicilia, alle cui popolazioni spetta di decidere, a parte gli aeroporti, a parte i treni, la gente viaggia soprattutto sule autostrade. Migliorare questo collegamento con una grande opera significa anche tanta occupazione”.

    Favorevole anche il consigliere regionale della Casa delle Libertà Sinibaldo Esposito: “Sono quasi cinquant’anni che se ne parla. Ricordo nel 1977 appena arrivato all’università di Messina c’erano i progetti del futuro Ponte. Oggi ci potrebbero essere i presupposti per mettere all’agenda nazionale ed europea il ponte sullo Stretto: sarebbe una grande opera di comunicazione che fungendo da congiunzione della Sicilia sarebbe determinante anche per lo sviluppo della Calabria”.

    Con il parere però favorevole del loro viceministro siciliano Giancarlo Cancelleri, nettamente contrari i Cinquestelle. Per loro si è espresso il deputato lametino Giuseppe D’Ippolito, componente della Commissione Ambiente: “Il ponte sullo Stretto è un’opera inutile e dannosa, è uno specchietto per le allodole che Matteo Renzi e le sue truppe utilizzano per sedurre una parte dell’elettorato di Forza Italia e destabilizzare il governo. Nel Dna del Movimento 5 c’è l’ambiente come casa comune, che continueremo a difendere e tutelare. Renzi sa benissimo che la società Stretto di Messina, creata per la costruzione del ponte, in 30 anni è costata allo Stato oltre 312 milioni euro, che invece potevano servire per migliorare i collegamenti interni della Calabria e delle altre regioni meridionali. Ora l’irrazionale leader di Italia Viva cerca in tutti i modi di creare scompiglio e per questo non ha, come al solito, alcuna misura. Per il giovanotto di Rignano sull’Arno è più importante buttare altro denaro per un’opera che non vedrà mai la luce, piuttosto che sostenere l’economia con il sacrosanto, indispensabile Reddito di emergenza”.

    Il ponte sullo Stretto unisce, il ponte sullo Stretto divide.

     

     

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