Ma davvero qualcuno pensa si possa votare a San Valentino?

Curve epidemiologiche ballerine, tempi risicati, interventi pesanti della magistratura: elementi che non depongono a favore della data fissata dal decreto del facente funzioni Spirlì. I partiti, tutti, sono impreparati. Ma non lo ammettono pubblicamente

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    La data sembra fatta apposta per un Partito dell’Amore che non c’è. Se esistesse, probabilmente sarebbe l’unico a guadagnarci nell’affrontare il responso delle urne nel giorno fissato dall’effervescente facente funzioni di presidente Nino Spirlì, che un correlato tra data e significato corrente l’avrà fatto e ci avrà pure riso sopra.

    Sono elezioni importanti. La Calabria è sotto i riflettori come non mai. Il che non vuol dire che realmente sia in cima ai pensieri dei decisori politici nazionali né dell’opinione pubblica generale, che della regione al di sotto del Pollino ha un’idea vaga, pregiudizievole e stereotipata, come facilmente si può dedurre dalla improbabile visione che ne ha dato Muccino e in questo agevolata dalle sgradevoli comparsate dei talk in prima serata. L’importanza è data dal convergere di situazioni contingenti (la prematura scomparsa del presidente in carica, lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale, l’arresto del suo presidente, la farsa dei commissari gestori della sanità), dal loro incastrarsi a problemi storici (criminalità, corruzione, povertà, diseguaglianze, divari industriali e tecnologici, infrastrutture, disagio sociale) in modo tanto complementare da far temere l’approssimarsi al punto di non ritorno.
    In questo quadro allarmante, sul quale sarebbe non solo auspicabile ma finanche vitale che si esprimesse la volontà di voto della gran parte della popolazione, si vogliono tenere le elezioni a febbraio, quando tutti temono una terza ondata di contagi, non consentendo, per via delle limitazioni alla partecipazione attiva, il libero dispiegarsi della competizione elettorale di cui le operazioni nei seggi sono soltanto l’episodio terminale, seppure cruciale e significante.
    I dubbi, naturalmente, sono diffusi tra le stesse forze politiche, tutte, nessuna esclusa. Nessuna, a destra e a sinistra, è preparata. Non solo per via dell’assenza di una indicazione precisa dei candidati a presidente, di cui ancora non si conosce neppure il numero, se due, tre, o addirittura quattro. Ma anche perché tutte giungerebbero all’appuntamento col fiatone, in formazione raffazzonata, con intenti fumosi, con la vista annebbiata dalla coltre d’incertezza che si alza dovunque sull’orizzonte politico.

    A destra i partiti ostentano maggiore sicurezza. Per due motivi essenziali: confidano sull’onda lunga dei sondaggi che li danno in netta supremazia di consensi, e vogliono sfruttare la posizione di forza che deriva dall’esercitare il potere regionale in una fase ancora ascendente del favore goduto a gennaio 2020, circostanza per la quale non può essere applicato il principio implacabile dell’alternanza che vige in Calabria da quando si volta direttamente il presidente. I partiti regionali obbediscono al mantra recitato da Meloni e Salvini: voto subito. Tajani si adegua, per non sembrare di meno.
    Tutto tranquillo, ma non troppo. C’è da scegliere il candidato presidente, operazione che dilania e spesso comporta sorprese dell’ultima ora. Se tocca realmente a Forza Italia, ma non è pacifico – come diremo – in pole ci sono Roberto Occhiuto e Gianluca Gallo. Per dirla con Orlandino Greco, leader di Italia del Meridione che da ultimo fa il tifo per la destra ma ama anche Vincenzo De Luca, Occhiuto va benissimo ma Gallo è segno di continuità. Più defilati i due sindaci di Catanzaro e Vibo, Maria Limardo e Sergio Abramo. Intanto ha lanciato un sasso in piccionaia Wanda Ferro, che vorrebbe le primarie del centrodestra. Quasi una bestemmia, peccato deprecato ma da molti praticato. Tanto che sotto sotto a molti nel centrodestra l’idea piace.

    E poi, il secondo motivo per il quale a destra non tutto è pronto, c’è da considerare il pesante intervento della magistratura che oggettivamente, senza evocare il fantasma delle inchieste a orologeria, riduce di molto lo spazio di manovra di Forza Italia dell’area centrale della Calabria, menomata dalle inchieste che in rapida successione hanno attinto prima Domenico Tallini e, da ultimo, Claudio Parente che aveva avuto un ruolo di primo piano nella partecipazione vincente di Jole Santelli nella precedente tornata e che, probabilmente si apprestava a svolgere un ruolo supplente della leadership di Tallini con la lista proprietaria “Casa delle Libertà”.

    Se non è pronta la destra, figuriamoci a sinistra in quale marasma nuotano. Oggi è in programma la seconda call del cartello messo su faticosamente dal Partito democratico e dal Movimento 5 Stelle, insieme a Italia Viva, Io resto in Calabria, Articolo 1, Socialisti, Centro democratico, Verdi, Movimento europeo Repubblicano, Calabria aperta, A testa alta e Movimento della Sardine. Non c’è accordo né sul modo di procedere, se prima il programma e poi il candidato o viceversa, né come affrontare il dissidio con le due proposte civiche che punzecchiano parecchio, il Tesoro Calabria di Carlo Tansi, che viene dato in ottima forma, e il Polo civico di Domenico Gattuso, Pino Aprile e Francesco Aiello. Tansi e il commissario regionale del Pd, Stefano Graziano, continuano a incrociare le armi postando sui social reciproci anatemi, anche per via della supposta intransigenza dell’ex capo della Protezione civile regionale che si è ritagliato un identikit del candidato presidente di un’ipotetica coalizione che riconduce a lui medesimo. Con ciò facendo precipitare nell’incertezza assoluta le tre opzioni principe adombrate dal Pd: Marco Minniti, Antonio Viscomi, Nicola Irto. Mentre anche Calabria aperta, espressione dell’appello dei 141 intellettuali e professionisti che insieme alle Sardine fanno la novità del cartello giallorosso, ha avanzato senza timore reverenziale il nome di Tonino Perna, attualmente vice di Giuseppe Falcomatà a Reggio Calabria, laddove anche il Pd mastica amaro per l’inchiesta giudiziaria in corso sui voti resuscitati.

    A sinistra sono tutti per il rinvio del voto. Solo che non lo dicono apertamente, per non apparire timorosi di perdere. Quindi lasciano fare, sperando in un intervento ultimativo del governo, che faccia valere la ragionevolezza ai calcoli prettamente elettorali. In Calabria c’è da smuovere un buon 50 per cento dell’elettorato che non si è mosso a gennaio, in epoca Covid free. Sperare che gli elettori riluttanti si smuovano, innamorati delle urne per il richiamo di san Valentino, è utopia romantica se non scellerata. C’è chi adombra una soluzione di compromesso: rinvio, ma soltanto dopo la presentazione delle liste, che rimarrebbero bloccate fino al giorno delle elezioni. Ci sarebbe da modificare codici e regolamenti. Nell’era dei Dpcm a gogò, un gioco da ragazzi.

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