Rizza risponde a Morelli: “Nella città sbattuta dal vento è diventato silenzio l’entusiasmo più mortificato”

"Potremmo vederci e parlarne, tutti assieme, per stare assieme o per essere meno soli. Per fare qualcosa di buono, per mettere nero su bianco, fuori dai social, cosa importantissima, problemi e soluzioni"

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    Riceviamo e pubblichiamo

    Caro Stefano, 

    ho letto e riletto con molto interesse la tua denuncia. È uno sfogo che condivido e che, per mezzo della presente, mi permetto di riprendere. Non per risponderti, ma per condividere. Non per replicare, ma per divulgare. Con stima nei tuoi confronti e con preoccupazione nei confronti della nostra città. 

    Ebbi modo di scriverlo pubblicamente lo scorso luglio. Lo rifaccio ora, non riuscendo, di fatto, a trovare parole più mie e più sincere. 

    “Tira una brutta aria in città, e questa volta non è come le altre volte. Non è l’ultima occasione, il fondo da evitare o l’appuntamento elettorale da non sbagliare: è la resa, il silenzio, l’accidia. È la solitudine di tanti in una città che pare aver smesso di ricercare la causa prima del suo agire e del suo essere. Sullo sfondo un disastro politico e nel mentre la corsa di pochi, che confondono quotidianamente il successo con il valore. 

    Non è ascetismo, è la cristallizzazione di una realtà ben consolidata e nella quale, con tutte le conseguenze del caso, nulla più è richiesto ai nostri amministratori, i partiti non esistono e il merito delle questioni non è mai affrontato”. 

    Quello che tu oggi soffri e denunci e che definisci “silenzio” è l’ultima espressione, quella più netta, di stati d’animo, di vite e di esperienze. Nella città sbattuta dal vento è diventato infatti silenzio l’entusiasmo più mortificato, la passione più svilita, la fantasia più colpita, l’impegno più denigrato.   Al pari, invece, ai piani alti, è troppo spesso “silenzio” la viltà eletta a norma di vita e da sempre il silenzio stesso è l’espediente.  

    Da queste parti non facciamo altro che vivere in maniera esponenziale i problemi di un Paese che ha perso il senso della giustizia sociale, quello del dovere e quello della responsabilità personale. Che ha privato la quotidianità di esempi e creato disvalori.  La nostra città si è persa nelle difficoltà quotidiane di ognuno e nell’io di tutti, si è dissolta nell’assenza di comunità. 

    La questione che sollevi, secondo la quale non sarebbe mai stato portato a compimento il passaggio di proprietà dal Ministero/Demanio al Comune del Complesso monumentale del San Giovanni è una questione che merita, per il bene di tutti, un serio approfondimento. Nel merito mi auguro che gli uffici comunali competenti, non solo facciano chiarezza il prima possibile, ma che, rispondendo alle tue domande, chiariscano qualsiasi dubbio. Il contrario sarebbe, in parte il solo parlarne già lo è, davvero paradossale. 

    Allo stesso tempo, sperando di far cosa buona per la città e cosa gradita per te, mi piacerebbe che la tua denuncia aprisse una discussione molto più generale sull’intera gestione degli spazi pubblici e culturali della città. Un aspetto che personalmente ritengo fondamentale per Catanzaro tutta e per il suo futuro più prossimo. 

     

    Voglio sollevare così questa discussione non per mere questioni tecniche e amministrative, per spicciole questione politiche o per un’idea di consumo, ma perché sono da sempre convinto che la più corretta e meritoria gestione dei nostri spazi culturali, rappresentando un valore sociale ed economico importante, possa portare ad una nuova e proficua sperimentazione di diverse sensibilità, di nuove visioni e di nuovi contenuti.   Oggi Catanzaro è priva di una programmazione culturale, sia specifica che legata agli altri settori di sviluppo socioeconomico.  

    Al contrario penso che sia giunta l’ora di chiederci cosa significhi produrre e offrire cultura a Catanzaro oggi, e facendolo dobbiamo interrogarci per programmare le possibilità di lavoro, le tipologie di governance e le modalità di funzionamento dei numerosi spazi multidisciplinari a vocazione culturale e artistica che oggi abbiamo nella nostra città.   Seriamente e una volta per tutte. Premiando il merito e le professionalità. Stimolando entusiasmo e garantendo trasparenza, legalità e partecipazione. 

    Si tratta, soprattutto, di legare agli strumenti di pianificazioni presenti e futuri, idee e passioni. Per creare, lo ripeto, ricchezza sociale ed economica. Ma c’è di più. Negli anni in cui la società sembra essere segnata dall’incertezza e dall’incapacità di pensare il domani, i nostri spazi pubblici e culturali dovrebbero essere centri di produzione di idee e ricchezza nei quali provare a forgiare il prossimo futuro. Lo stesso che vorremmo meno silenzioso. 

     

    Il mio vuole essere uno spunto di riflessione, un contributo, un invito a te e alla tua visione affinché si faccia testimonianza e proposta, ancora una volta, alla città. 

    Sul tema, e non solo su questo, ci sono tantissime realtà che potrebbero confrontarsi e raccontare le proprie ragioni. Nella città mortificata sopravvivono e vivono tanti singoli e tante unioni di uomini e di donne che hanno scelto, e che quotidianamente scelgono, la via della coerenza, dell’onestà intellettuale e dell’impegno.  

    Potremmo vederci e parlarne, tutti assieme, per stare assieme o per essere meno soli. Per fare qualcosa di buono, per mettere nero su bianco, fuori dai social, cosa importantissima, problemi e soluzioni. Per dare sostanza alla libertà.  Magari proprio lì, sulla terrazza del San Giovanni, sul tetto della città dove c’è un’altra marcia silente, quella di Gonzalo Borondo, che però ci urla e ci chiede maggiore attenzione verso ciò che ci circonda, verso la natura e verso l’uomo. Quasi profetica. 

    Magari, come storia recente ci racconta gridando vendetta, troveremo chiuso. E magari entreremo lo stesso, perché, in fin dei conti, è un nuovo rapporto con la libertà, fatto di contrapposizione all’automatismo, quello che più dobbiamo trovare e regalarci. Fatto di più rumore. 

    Perdona le troppe parole, ma mi capirai.  

    Con stima.  

    Roberto Rizza  

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