Lettera agli studenti di Petronà in tempo di pandemia: “Non esistono più i destini individuali, ma solo una storia collettiva”

Il professore di lettere Enzo Bubbo: "Imitiamo il fiore di Loto"

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    Care alunne, cari alunni, non tocca a me spiegare il morbo che ha letteralmente capovolto la nostra vita. Ascoltiamo con fiducia i medici e gli scienziati: lo meritano perché conoscono da vicino il nemico invisibile. Spetta invece agli educatori, come me, chiedere udienza agli studenti per dire loro che il dolore non si evita, ma si attraversa: lo faccio con una lettera aperta in tempi di pandemia. Sembra di essere in un film di fantascienza, se non fosse che le eloquenti immagini di obitori e cimiteri segnano il netto confine tra virtuale e reale. L’hanno capito tutti: la poesia è finita con inimmaginabili cambiamenti. L’evento inaspettato della crisi epidemica ha lasciato tutti basiti: non ci appartiene la relegazione domestica, non eravamo preparati al distanziamento sociale, non siamo stati educati ai seppellimenti senza riti e commiati, non è sopportabile il vuoto assordante delle deserte aule scolastiche. Nessuno immaginava che un virus, il Covid-19, avrebbe cancellato, in men che non si dica, la vita di quasi 260mila persone in tutto il mondo, cambiando in pochi giorni tutte le nostre abitudini, facendo vacillare tutte le nostre certezze, cancellando la libertà del nostro quotidiano e la serenità del convivere. Siamo di fronte alla più grande crisi socio-economica dal dopoguerra a oggi: se scende qualche lacrima, è più che giustificata. La pandemia ha scavato un solco tra il prima e il dopo, servono ponti di empatia per lenire ferite immedicabili. Arrendersi a disfattismo e fatalismo è quasi scontato in un contesto così tetro, facile affondare, ma ci sorreggono due compagne di viaggio che non tradiscono mai: la storia e la natura. Ecco la storia come maestra di vita e vado subito a parafrasare un celebre aforisma di Franklin Roosevelt: ‘L’unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa’.

    Non ha senso piangersi addosso, è invece arrivato il momento di una comunità cosciente che ogni cambiamento, anche quando porta lutti e lacrime, è una risorsa per crescere: c’è bisogno quindi di tanta resilienza per trasformare il vuoto in un trampolino di lancio. Facile a dirsi, difficile da mettere in pratica. Cosa fare? Dopo la storia, ci soccorre la natura. Copiare un fiore, sì imitare il fiore del loto che cresce nel fango, ma diventa simbolo di purezza e di bellezza. Questo bellissimo prodigio della natura emerge e si nutre nella fanghiglia , nell’acqua putrida e, quando fiorisce, si erge magnifico. La natura è così appassionante da darci le risposte più inattese. Anche noi, come il loto, siamo, nel 2020, circondati da cose brutte, come cuori spezzati e visi rigati da lacrime per le tante vittime, ma non disconosciamo ciò che di positivo c’è ancora intorno a noi anche con il coronavirus: il tempo, gli affetti, la solidarietà, le amicizie, gli esempi. Stiamo anche imparando tante cose.
    La pandemia, lo scrive anche Albert Camus nel libro ‘La peste’, insegna che ‘non esistono più i destini individuali, ma solo una storia collettiva’. Non ha più senso una vita all’insegna dell’individualismo sfrenato, in cui ogni essere umano era immerso in un cieco materialismo, causa di assurde ingiustizie economiche e sociali: c’è chi ha più cibo che fame, c’è chi ha più fame che cibo. Dicono i sociologi: ‘Nulla sarà più come prima’. E’ l’auspicio di tanti e il cambiamento non può fare a meno di voi giovani. C’è da scrivere la storia, tocca a voi, nuove generazioni, mettere insieme un piccolo paragrafo del nuovo capitolo dell’umanità. Albert Camus dice anche che, paradossalmente, è proprio la peste a farci scoprire ‘negli uomini più cose da ammirare che da disprezzare’. La pandemia ci ha insegnato che generosità e determinazione, pensiamo ai tanti eroi con il camice bianco, ai farmacisti e a tutti gli altri operatori sanitari , fanno parte della nostra indole. E’ quella la strada maestra, la strada dell’empatia. Solo la comunità vince la pandemia e la comunità non può prescindere da regole e cultura. Regole e cultura: due parole già sentite. Due parole che, noi insegnanti, rammentiamo spesso nelle nostre aule. Sembravano parole vuote, sillabe intrise di retorica e invece ora è la storia a indicarle come panacea per raggiungere la salvezza. Non puoi fare a meno delle regole quando sai che da una tua azione dipende anche la vita degli altri. Oggi, la regola è una sola: unico modo per stare uniti è rimanere distanti.

    Non puoi fare a meno della cultura quando sai che per fermare il contagio serviranno nuove conoscenze per scoprire il vaccino che non troveremo nei boschi e non pioverà dal cielo, ma chiama in causa la ricerca, la sperimentazione, quindi il sapere. Non dimentichiamolo mai più e diffidiamo delle fake news: non è vero che il coronavirus è nato in un laboratorio. Oggi guardiamo con ammirazione e pendiamo dalle labbra di medici e scienziati, riscopriamo quanto sia importante la formazione, la competenza. E’ una lezione per non sbagliare ancora: l’improvvisazione, vedi medici e infermieri mandati allo sbaraglio senza mascherine, nella vita non paga. Morale della lettera: studiare, anche con la didattica a distanza, non è mai una perdita di tempo perché aiuta a non considerare occasionale ciò che accade intorno a noi. Ora tocca a voi cari alunni, care alunne: servono i nuovi costruttori di comunità, servono nuovi alfieri del senso civico e dell’ambiente che è la casa di tutti. La missione in tempi di pandemia è uguale per tutti: prendersi cura gli uni degli altri. Ce n’è bisogno: l’emergenza sanitaria, purtroppo, non cammina mai da sola“.

    Il professore di lettere Enzo Bubbo

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