Occorre perdersi per ritrovarsi, perché la stella luminosa siete voi!

Il senso della vita nei racconti dello psicoterapeuta Mauro Notarangelo

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    di MAURO NOTARANGELO*

    Il prof di psicologia ha iniziato la lezione con qualche minuto di ritardo anticipando che sarebbe stata una sorta di lettera Virale aperta agli studenti un po’ particolare.

    -…Portavo le gocce di Xanax con me ovunque andassi. Erano diventate la mia sicurezza. Molte volte non le prendevo, le dovevo avere in tasca però, o in marsupio, e quando entravo in un luogo sconosciuto, un luogo molto aperto o affollato, mettevo le mani in tasca per sentire la consistenza della boccettina e mi rasserenavo.

    Ehi! Vi parlo in modo aperto per dare un messaggio di speranza. Vi rivelo subito che ho risolto il mio problema che nel tempo è diventato la mia più grande opportunità. Ho sempre sofferto di attacchi di panico e i miei amici più stretti, e tutte le persone che mi vogliono bene, non sono mai venuti a conoscenza del mio male, della mia sofferenza, del mostro che ho portato dentro per tanto tempo e che è sempre stato in agguato ed ha sempre bussato alla porta ovunque, in ogni tempo ed in ogni luogo, senza preavviso e col suo grido nefasto.

    Ho intrapreso un lungo percorso di autopsicoterapia e dopo un tragitto di sofferenza, finalmente ho incontrato me stesso!

    Vi rivelo che l’incontro è stato emozionante. In più momenti mi son visto quasi sdoppiato, come se mi aspettassi, come se l’altro me stesso sapesse che prima o poi sarei arrivato. La prima volta che ebbi l’attacco di panico fu quando mi allontanai da tutto ciò che per me era un porto sicuro.

    Non sono mai stato una persona sicura, piuttosto, una persona sempre piena di dubbi con soppalchi e sovrastrutture, condizionamenti di ogni sorta, con tante convinzioni di non essere in grado o di non essere all’altezza o adeguato alle situazioni, e mi sono sempre reputato una persona poco dotata e con poche capacità e minime risorse. Avevo da poco preso la patente e mi accingevo a guidare fuori dai confini conosciuti. Mi ricordo molto bene quell’istante, quel ponte che dovevo attraversare.

    Stavo guidando, ma come se non fossi al volante, la mia testa stava avanti, altrove, confabulava tutto quello che di nefasto sarebbe potuto accadere solo attraversando quel maledetto ponte. Era la prima volta che attraversavo quella strada con me stesso alla guida e solo e, a metà del tragitto, iniziai a sentire sotto le gambe una sorta di vampata che mi pervase immediatamente l’intero corpo per poi, qualche frazione di secondo dopo, avvertire una sorta di cedevolezza alle gambe che la testa iniziò ad andare in panne. Mi sentii per un attimo la testa vuota. Iniziai a non percepire più la strada, come se si deformasse e si dilatasse.

    Le strisce bianche si allungavano a diventare quasi infinite.

    Io con lo sguardo cercavo le strisce, un appiglio, ma mi sfuggivano sotto gli occhi e non riuscivo ad afferrarle. Mi stavo completamente perdendo, come se non fossi più io. La paura montava e cresceva a dismisura. Mi sembrava fosse arrivata la fine del mondo e la fine di me stesso, mi sembrava d’impazzire e morire. Ero in preda al terrore e non sapevo più cosa fare.

    Ero al centro del ponte, alto, molto alto. M’immobilizzai.

    Ebbi la freddezza di spostarmi sulla destra e fermare la macchina. Mi rannicchiai su me stesso, mi toccai le gambe per dire a me stesso che ancora ero vivo e c’ero. La mente divagava in preda al terrore.  L’aria divenne rarefatta. Non riuscivo nemmeno a piangere per quanto fossi paralizzato. Si avvicinò un signore, il quale, mi chiese se avessi bisogno di aiuto. Parlava tanto, ma non riuscivo ad ascoltarlo. Era tutto ovattato. Ero lontano, disperso in un luogo sconosciuto.

    Ero in un altro mondo, ed i miei sensi erano in balia del terrore, erano fuori fuoco e fuori centro. Persi la cognizione dello spazio e del tempo. Pensai di aver trascorso un tempo infinito, invece mi accorsi successivamente di aver attraversato solo qualche minuto, minuti, ahimè, che mi condizionarono gran parte della mia vita, perché da lì in poi ho vissuto sempre con la paura che il mostro si potesse ripresentare, magari ancora più orrendo di prima.

    La sensazione è quella della morte imminente. Sembra di morire, eppur sei vivo e vegeto, quel sembra non è come se stessi morendo ma in quel momento… stai morendo.

    Si chiama Attacco perché è un vero e proprio attacco all’Identità, al tuo Io, alla tua persona che si sente terribilmente minacciata e smarrita, in balia di una imminente catastrofe e tu sei inerme, subisci il mostro che ti governa, ti comanda, guida la tua testa perché ci pensi continuamente e non riesci a liberartene, e più lo vorresti mandar via più sei sotto scacco perché ti cattura i pensieri. Qualsiasi cosa tu faccia, pensi al mostro che si potrebbe ripresentare in ogni istante, e vivi costantemente in apprensione. Subentra allora una sorta di evitamento dei luoghi e degli spazi pericolosi, magari incominci ad evitare il supermercato o quel luogo stretto come l’ascensore o quella piazza talmente grande ai tuoi occhi che ti fa perdere tutti i punti di riferimento.

    Oggi, grazie a quegli Attacchi, sono una persona che non ha più bisogno di difendersi dai mostri.

    Oggi ho preso consapevolezza che il mostro era dentro di me, e che la mia mente era vittima della mia fantasia. Ciò di cui non disponevo, era saper differenziare la realtà dalla fantasia. Oggi ho una facilità estrema a comprendere quando sono nel giardino fiorito della creatività e quando invece i miei sensi sono aperti per far entrare le informazioni sensibili del reale. E’ meraviglioso entrare ed uscire e oltrepassare il mondo del reale e della fantasia ed esserne costantemente consapevoli.

    Come ho fatto tutto ciò? Ricordatevi che Noi siamo la nostra medicina e/o la nostra malattia.

    La prima cosa che ho compreso è che la cura era dentro di me, ed ero io ad ingenerare il mostro. Non sapevo ancora bene in cosa consistesse questa cura, ma mi misi subito alla ricerca e incominciai ad ispezionarmi per bene, scesi nelle profondità del mio animo e cercai le piantagioni delle convinzioni dalle quali germogliava il frutto del maligno, di sentirmi sbagliato, sempre fuori luogo, e senza un gran valore con la stima sotto i piedi. Iniziai a comprendere  che il cervello non distingue le fantasie dalla realtà, per cui, mi decisi a ragionar di fantasie che potessero accrescere il mio valore ai miei occhi piuttosto che ridurlo. Incominciai a non aver paura di me stesso, a non aver paura delle mie tenebre, incomincia a trattarle da fantasie e non da realtà. Iniziai a trovar il modo di giocarci e feci leva molto sul senso d’ironia.

    Mi presi continuamente in giro. Mentre la vocina mi diceva che stava per arrivare un Attacco di Panico, iniziai a trasformare la vocina e mi misi a parlare con la voce di paperino. Ho un ricordo  meraviglioso di quel giorno. Mentre mi stava montando il Mostro in preda ai miei dialoghi interiori di imminente pericolo, incominciai a ridere al suono di quella voce e quel mostro, come ombra sul muro, si dileguò al bagliore della mia ironica consapevolezza.

    Fu l’inizio della nascita. Credo di essere nato quel giorno, quando capii che ero Io a guidare le mie fantasie e non le mie fantasie a guidare me.

    Presi il comando delle mie azioni e iniziai ad andare anche contro vento. Capii che potevo costruire la mia felicità! Capii che sarei stato io a decidere che vita mi sarei voluto vivere, e che quel ponte era solo un ponte che univa due sponde che mi permetteva di attraversare uno spazio in un tempo definito. Iniziai a fidarmi di me stesso. Quando incontrai l’altro me stesso che mi aspettava sulla roccia, gli andai semplicemente incontro. Credeva che mi spaventassi o lo evitassi. Provò a fare la faccia da Mostro, ma non m’intimorì, perché avevo imparato a trattare le emozioni vivendole. Per quanto ebbi un po’ di ansia, la feci entrare nel mio corpo, e mi feci attraversare tutto, anche dai tremori più subdoli e andai avanti lo stesso… non mi evitai.

    Quando arrivai a toccarlo, il Mostro, mi trovai abbracciato a me stesso, come se mi accudissi con gioia e gratitudine.

    Mi accarezzai e mi sussurrai che mai avrei permesso ad alcuno ed anche a me stesso di poter farmi ancora del male. La prima cosa che feci: mi perdonai! e giurai a me stesso di custodire l’autenticità che trovai.

    Ogni essere umano ha un tesoro nascosto, si tratta solo di mettere la firma su quell’autoritratto che è già un capolavoro senza prezzo. Ora sono testimone che dagli Attacchi di panico si guarisce. Occorre coltivare l’arte della cedevolezza come conoscono bene coloro i quali praticano le arti marziali. Occorre non opporsi all’Attacco con l’Attacco, bensì, accompagnare con cedevolezza il colpo quasi a farlo proprio.

    In questo modo potremo diventare consapevoli che il Mostro è generato da noi stessi, perché siamo sempre noi stessi ad innescarlo. Io sono testimone che si può oltrepassare il ponte, occorre volerlo con determinazione. Dedico questa lezione a mio fratello Igor e a tutti coloro i quali soffrono di Attacchi di Panico e dico a voi tutti di vivervi la vita fino in fondo perché per i Mostri, i veri Mostri siamo noi.

    Per superare i Mostri occorre mostrarsi a se stessi senza mentirsi. Dimenticavo. Ascoltate il vostro soffio. Il respiro sarà l’aria che gonfierà le vostre vele per salpare dai porti sicuri e navigare sulle acque degli oceani e magari incontrare nel bel mezzo dell’oceano un ponte. Saliteci sopra e attraversatelo, perché oltre, il mare è una meraviglia. Non mi resta che augurarvi: Buon vento marinai! Occorre perdersi per ritrovarsi, perché la stella luminosa siete voi! -.

    *Medico Psichiatra psicoterapeuta

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