Catanzaro unita salvi la sua Marina, se stessa e la Calabria intera
"E' città del mare e dei monti, i suoi, quelli della piccola Sila"
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Se un cittadino dice una cosa, esprime un’opinione. Se la stessa cosa la afferma un pensatore, un artista o un intellettuale generalmente inteso, è una provocazione che scuote da quel sonno profondo, che prende le persone. Specialmente, quando sono stanche o frustrate o piene di disillusione e dolore. Quando il contenuto di quella stessa frase viene detto da un politico, in special modo un consigliere comunale, essa inevitabilmente diventa posizione politica.
Tutt’e tre le diverse postazioni reclamano rispetto e attenzione. Sono utili. A volte necessarie.
Utili sempre, perché stimolano la riflessione, svegliano i cittadini, spingono al confronto buono, quello costruttivo che mette al centro il bene comune. Sono, però, necessarie, quando in una data realtà chi la abita non la vive e sempre più si distacca da essa per rinchiudersi in un ambito tutto suo. Tanto piccolo da farci entrare, egli costringendosi all’esterno, soltanto gli stupidi orgogli, il minuscolo particolare, la gigantesca presunzione di essere loro stessi l’ombelico dell’universo, il motore della storia.
Da noi, in Calabria, purtroppo, accade che da qualsiasi postazione un pensiero venga espresso, anche il più innocuo, esso scateni una rissa di quelle “ che non ti dico”.
Ciò si verifica con più determinazione a Catanzaro, non a caso sempre più capoluogo di una terra divisa in quattrocento campanili. Dai giallorossi al gonfalone con l’aquila reale, ci si divide su tutto. Mai una volta che ci trovi uniti, se non quando, come qualcuno vorrebbe che sempre fosse, si tratti di lamentarci contro il nemico invisibile, ovvero innominato. Oppure, quando … e la Reggina in B, il Crotone in A, e il Catanzaro …. E, ancora, materia assai contemporanea “ i reggini ci vogliono togliere il capoluogo e noi gli prenderemo pure la sede del Consiglio regionale”. Rafforzando, quest’ultima pretesa, magari, con la loro incapacità di mantenere integro il tetto dell’Autitorium dedicato a Calipari, da pochi giorni crollato come un castello di sabbia di mare. Una delle nostre principali debolezze è di natura, diciamo, culturale.
Ci siamo per decenni al nostro interno divisi tra persone e quartieri. Addirittura, per rioni. Sempre tutti contro tutti.
E tutti insieme contro Catanzaro, città unica che ha bisogno solo di unità complessivamente intesa, sulla quale realizzare il più grande progetto di crescita civile, economica, democratica. Perché ciò avvenga e con una classe politica “ visionaria” in senso positivo, che abbia cioè visione di un futuro che guardi al passato buono, occorre che i catanzaresi capiscano che Catanzaro è città di mare.
Anzi, di più, è città del mare e dei monti, i suoi, quelli della piccola Sila.
Il suo adagiarsi sui tre colli antichi, per poi distendersi nelle due valli che conducono al mare più bello, ne fanno, con l’aiuto del vento buono, la Città più bella del mondo. Io sogno, propongo, e da sempre mi batto, per una nuova grande realtà urbana, luogo dinamico e flessuoso in cui è custodita storia, cultura e bellezza, anche ambientale, le energie naturali capaci di produrre vera ricchezza. È la realtà territoriale che da Squillace-Borgia ( e tutto ciò che ruota attorno) vada a Taverna (e a tutto ciò che ruota attorno ad essa). La Città, insomma, della Magna Graecia e Mattia Preti, con al centro le più grandi “officine” della ricerca scientifica e dei saperi, e quella economica, che, attraverso l’area di Germaneto, da ripensare e rimodulare, apre la Città alla regione intera, costruendo al centro un asse moderno e modulare con la piana di Lamezia e la Città bella che la domina. Tutto qui.
Quanto alla disputa su Marina, a chi appartenga( i marinoti di Marina, sono rimasti assai pochi), e quanto sia diversa e più ricca e più grande e più moderna dell’altra Catanzaro, di quella che sta a un metro fuori da essa a salire, e di come essa si trovi sempre piena di gente al contrario della Catanzaro “di sopra” sempre deserta, di cui finalmente si sarebbe vendicata per il lungo passato di abbandoni e illeciti sfruttamenti, e potrei continuare, vi è da dire (nel mio caso ripetere per l’ennesima volta) che non tutto ciò che è affollamento, movida rumorosa e incessante, locali strapieni di gente, lungomare a muro impenetrabile di carne umana, traffico automobilistico che imprigiona per ore con le sue code interminali, è modernità e progresso. E che non tutto il denaro che circola crei ricchezza e occupazione stabile, ordine sociale e sicurezza ambientale. Marina quartiere, o come altro la si volesse definire, non è più quella di un tempo e non è quella che sarebbe potuta divenire.
Non è la realtà aperta, polmone, cerniera, motore non inquinante di un’area vasta quanto quella sopra da me indicata.
È stata per decenni lasciata essere territorio da occupare, cementificare, occupare “manu militari alcune autenticamente delinquenziali). E devastare , derubare della sua bellezza, per allocarvi disordinatamente di tutto e di più purché si procurassero grandi guadagni da parte di una industria becera, quella della speculazione generalizzata, che ricchezza buona non mette in circuito e altra non me procura. Il disordine e la bruttezza imposta ai luoghi attrae, invece, altre attenzioni. Quelle che ben conosciamo, e delle quali poco si parla anche nelle sedi istituzionali.
La criminalità organizzata, divisa in più tronconi, e il cui vero comando si trova fuori dalla nostra Città, sta costruendo una sorta di cappa su uno dei territori non solo più belli ancora, ma ora i più importanti della Calabria. Il primo grande lavoro da fare, e tutti insieme, è salvare Marina, sottrarla a ogni forma di ulteriore speculazione, restituirla pienamente alla Politica e a una strategia da essa elaborata che la ricollochi al centro dello sviluppo di Catanzaro. Occorre, con ogni immediatezza, un piano di risanamento che inizi dal blocco di ogni costruzione.
La parola d’ordine non sia più quella ingannevole e bugiarda usata da anni, “ consumo del territorio zero”. Ma quella più netta del “ guai a chi si azzardasse a mettere un solo mattone sulla nostra terra”
Per anni ho domandato in solitudine perché il nuovo Piano Strutturale non venisse mai varato e non venga varato ancora. La risposta, non a me che già la conoscevo, chiunque la può trovare facendosi un bel giro attento, soprattutto a piedi, per “ Marina”. Lo dico agli amanti delle divisioni e ai cultori di un falso orgoglio identitario, ma di più ai disattenti e agli indifferenti “ non marinoti”: Catanzaro si potrà salvare se si ripenserà come Città dalle grandi ambizioni. E come vero capoluogo di una terra da salvare.
Catanzaro si salverà, se crescerà in essa la cultura dell’unità, di quell’essere tutti catanzaresi che si impegnano in un grande progetto di riqualificazione urbana.
Un Progetto che, attraverso il recupero di ogni periferia e il raccordo di ciascuna di essa a un centro motore e ordinatore, il Centro Storico, sappia valorizzare tutte le risorse in possesso. Un progetto che, lasciando inalterato il positivo collegamento dei cittadini alla storica specificità dell’antico proprio quartiere, assegni a ciascuno di esso, liberando soprattutto gli isolati dormitori, un ruolo speciale ed essenziale per la crescita complessiva di Catanzaro, città aperta, della solidarietà e della Pace.
Catanzaro si salverà se saprà sentirsi pienamente città di mare, anche del suo mare.
Se farà finalmente propria la sua Marina e se quest’ultima si sentirà pienamente parte del territorio comunale, soprattutto quello che io auspico si allarghi sulla Città nuova dall’antico. Salvare Marina, proteggerla come un campo delicato di fiori multicolori, tutelarne ogni sua bellezza, saperla inserire in un contesto antropico razionalizzato e corretto, anche sotto il profilo etico e culturale, significa salvare se stessi e i propri figli, la Città più bella del mondo, la Calabria. Il mondo intero, per la parte di responsabilità che ogni piccola parte ha nei confronti del tutto.