Consulenti di Management, il vicepresidente dell’Associazione nazionale è calabrese

Catanese racconta la sua esperienza in un settore in continua crescita ed evoluzione

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    È il primo consulente calabrese a ricoprire la carica di vicepresidente vicario nazionale della storica Associazione Professionale Italiana dei Consulenti di Management (APCO), Francesco Catanese ci racconta la sua esperienza in un settore, quello del management consulting, in continua crescita ed evoluzione.

    Quando hai cominciato questo mestiere e perché?

    «Svolgo l’attività di consulenza dal mese di settembre del 1995. Fin da subito è prevalsa la mia forte passione a creare valore nelle organizzazioni ed a supportarle nei loro percorsi di crescita e nei progetti di cambiamento ed innovazione. Ho costruito dei rapporti fiduciari e duraturi con tanti clienti, alcuni dei quali ultraventennali. Questi primi anni di lavoro sono stati caratterizzati anche da collaudate sinergie con altri professionisti e stimolanti esperienze imprenditoriali ed associative. Ma soprattutto da relazioni corrette e trasparenti con i vari stakeholder. Il mio agire si basa su valori che ritengo fondamentali nello svolgimento delle attività di consulenza, mi riferisco ad etica, rispetto, sostenibilità, assenza di conflitti d’interessi, cooperazione, responsabilità sociale ed integrità professionale. Tutte tematiche per le quali nutro fortissimo interesse e che ho affrontato anche in vari seminari, workshop e convegni. Sono veramente soddisfatto di questa nomina, in particolare perché coincide con il mio 25° anno di attività professionale. Ringrazio per questo i colleghi della delegazione Sud che mi onoro di coordinare, tutti i soci di APCO ed in particolare la Presidente Cesara Pasini che, riconfermata alla guida dell’associazione, mi ha voluto al suo fianco. Questo nuovo incarico certamente mi onora, ma al contempo mi ricopre di maggiori responsabilità. Spero, infatti, di dare un contributo alla crescita della nostra importante comunità che annovera eccellenti professionisti ed al settore del management consultant».

    Chi è il consulente di management?

    «Anzitutto nella mia esperienza quotidiana rilevo felicemente un vero e vivo interesse per la mia materia e figura professionale. Ma, questa divertita attenzione sovente ha fatto si che fossi scambiato benevolmente per un “commercialista”, un “consulente del lavoro”, un “avvocato”. A questi devo aggiungere le più impensabili e originali definizioni: ricordo ancora oggi con un sorriso l’appellativo di “commercialista industriale”! La norma UNI 11369:2019 così ci definisce: “Il consulente di management è una figura professionale che svolge un insieme di attività multidisciplinari di lavoro intellettuale, nel campo delle attività di management, che mira a creare valore o a promuovere cambiamenti. Nell’erogare le sue prestazioni ha il compito di fornire consigli, pareri e raccomandazioni; studiare piani e progetti; elaborare le relative proposte di soluzioni ed indirizzare, supportare e partecipare alla realizzazione delle stesse; verificare la qualità del processo; valutare l’efficacia e la qualità dei risultati; progettare e realizzare formazione professionale e comportamentale”. Questa espressione descrive un professionista con un ampio raggio di azione, che non può ridurre le proprie e caratteristiche conoscenze, competenze ed abilità ad un singolo segmento, ambito o ad un unico aspetto. Per antonomasia è colui che opera nelle organizzazioni con una visione grandangolare. Per facilitare la comprensione – chiaramente a titolo esemplificativo e non esaustivo – vi racconto quale attività di consulenza attualmente svolgo; erogo prestazioni professionali nei seguenti ambiti: strategia d’impresa, controllo direzionale e performance management, trasformazione digitale e innovation management, finanza, contrattazione e welfare aziendale, rendicontazione non finanziaria e report integrato, etica e responsabilità sociale d’impresa. Prediligo impegnarmi soprattutto nell’area della consulenza strategica. Infatti, assisto le organizzazioni nella elaborazione e realizzazione di strategie coerenti con il loro sistema di valori, con la loro mission e vision, principalmente per realizzare una crescita organizzativa sostenibile, per innovare, per realizzare il cambiamento, per migliorare la produttività. Negli ultimi anni, parte del mio tempo è dedicato ai modelli di rendicontazione non finanziaria. Concretamente curo la progettazione e la stesura del report integrato secondo i principali standard nazionali ed internazionali di riferimento. Risulta essere un documento veramente importante per tutte le organizzazioni: integra informazioni finanziarie e non finanziarie, evidenzia quelle di natura prospettica e strategica sulla capacità dell’impresa di creare valore nel tempo e collega risultati economici ad impatti sociali ed ambientali».

    Che cosa è cambiato nelle aziende oggi rispetto a qualche anno fa?

    «La risposta potrebbe essere condizionata dall’inedita situazione di emergenza ed incertezza attuale. Senza voler tralasciare o trascurare – e me ne guarderei bene – questa fase molto critica e, soprattutto, le pesantissime conseguenze che ne derivano per l’intero sistema economico e sociale, la domanda mi dà lo spunto per una riflessione molto più ampia. È noto come molte aziende rischiano purtroppo la chiusura definitiva. L’interrogativo da porsi però è il seguente: è colpa da attribuire solo ed esclusivamente alla crisi attuale?

    Temo sia così per tantissime realtà imprenditoriali, soprattutto per quelle che operano in alcuni settori direttamente colpiti i cui effetti risultano essere devastanti.

    Al tempo stesso, probabilmente alcune situazioni di difficoltà aziendali non sono insorte esclusivamente a causa della pandemia, ma sono conseguenza di un modo di fare impresa che non si è evoluto e che non risponde più al contesto in continuo ed impetuoso cambiamento. Molte problematiche a cui mi riferisco le riscontro maggiormente nelle family business, presenti in Italia in percentuale elevatissima. Non è più pensabile che un modello di business, una struttura organizzativa, un approccio al mercato restino inalterati nel tempo, il più delle volte per logiche che nulla hanno a che fare con la missione dell’impresa. Ancora oggi rilevo come la guida aziendale si tramandi quasi esclusivamente per logiche di “eredità” e non secondo meriti e competenze. E questi sono solo alcuni degli elementi che purtroppo possono pregiudicare la continuità aziendale.Bisogna considerare comunque il periodo storico di cambiamenti in atto, da alcuni definito “quarta rivoluzione industriale”. È l’epoca delle grandi transizioni digitali, tecnologiche, circolari ed economico sociali che le grandi policy dell’Agenda ONU 2030, del Green New Deal e similari, stanno provando a razionalizzare e supportare. Si tratta di un cambiamento d’epoca e non solo di un’epoca di cambiamenti. Nuovi paradigmi economici e produttivi si stanno affermando. Tra pochi anni l’intelligenza artificiale, la robotica, i big data, le tecnologie 4.0, sconvolgeranno la natura stessa di alcuni ambiti imprenditoriali le cui prassi operative sopravvivono da decenni. Le aziende italiane dispongono di persone di valore, di idee, di saperi e di talenti. Tradizione ed innovazione hanno permesso l’affermazione del “made in italy” in tutto il mondo. Questo fa ben sperare! Perché allora non mettere in campo queste energie in modo continuativo? Ritengo che l’impresa, soprattutto nei momenti di equilibrio e quando “funziona”, deve essere oggetto di continuo ripensamento, va costantemente ridisegnata e dotata di una certa resilienza ed attitudine all’antifragilità. È necessario intercettare sempre i segnali di novità ed intervenire in modo strutturato e con lungimiranza. In sintesi significa innovare continuamente ed in modo sostenibile.

    Proprio innovazione e sviluppo sostenibile rappresentano una grande opportunità per le aziende e possono favorire cambiamento e crescita.

    Riconosco che in molti già da tempo hanno modificato il loro approccio culturale sulle tematiche evidenziate ed hanno avviato dei percorsi molto virtuosi. Lo dimostrano anche i dati contenuti nel recente Report GreenItaly 2020 di Unioncamere e Fondazione Symbola. Altre purtroppo operano ancora secondo schemi ampiamente superati che, indipendentemente della crisi, mettono a rischio la loro sopravvivenza».

    Ed ai giovani che vorrebbero intraprendere la tua stessa professione cosa consigli?

    «Quando le organizzazioni ottengono risultati, crescono e raggiungono gli obiettivi, anche grazie al nostro supporto, non nascondo che si maturano enormi soddisfazioni. Per onestà devo anche ricordare come il successo professionale, nel nostro caso, non è scontato e richiede grande dedizione e sacrificio. Dico sempre ai miei colleghi che consulente di management si diventa ogni giorno e che mai ci si deve sentire arrivati. Siamo coinvolti in sfide di grande responsabilità, che hanno dirette conseguenze sulle persone. Non è possibile affrontarle con un livello di preparazione basato solo su un apprendimento “formale”, ma anche “informale” e “non-formale”. Significa evolversi e crescere in maniera continua e senza sosta, anticipare in qualche modo i cambiamenti, così da poter aiutare le organizzazioni a competere anche in contesti di complessità. Forse non apparirà facile, ma neanche impossibile. Con buona volontà, determinazione e abnegazione si raggiungono alte vette. Invito i giovani che hanno questa propensione ad avviarsi in questo “viaggio” professionale perché è molto gratificante. E dico anche che APCO è pronta ad aiutarvi in questo percorso di crescita. È l’unica associazione italiana che dal 1968 riunisce e qualifica chi in Italia svolge questa professione, sia individualmente, sia come associati, partner o dipendenti di società di consulenza. È un riferimento istituzionale e formativo che qualifica la competenza del singolo consulente, anche secondo lo schema anche secondo lo schema APCO-CMC® (Certified management Consultant) dell’istituto CMC Global (ICMCI – International Council of Management Consultants) riconosciuto a livello internazionale in oltre 50 paesi, e rende pubblico il quadro delle caratteristiche peculiari per l’esercizio di tale attività. Opera per migliorare la relazione tra consulenza e mercato e controlla il rispetto del codice di etica ed i requisiti minimi di esperienza e di continuità nella professione. Auguro a tanti giovani di intraprendere con successo la professione di consulente di management, il cui settore come riportala norma UNI EN ISO 20700 – che fornisce le linee guida per l’erogazione di questi servizi – rappresenta un contributo sostanziale per l’economia mondiale».

    Come vedi il futuro?

    «Il futuro ha un cuore umano. Il futuro è nelle nostre mani. Perché sia migliore per tutti dobbiamo costruirlo volgendo lo sguardo verso gli ultimi, i più vulnerabili ed i giovani. I danni causati dall’uomo, dal suo egoismo sono sotto gli occhi di tutti. Le disuguaglianze generate sono crescenti; è continuo il deterioramento dell’ambiente causato da modelli di produzione e di consumo insostenibili. Il World Social Report 2020 dell’ONU sintetizza chiaramente che nell’attuale scenario di elevate emissioni e senza una decisa politica climatica, entro il 2050 si impatterà ancor più negativamente sulla crescita dei paesi più poveri. Possiamo invertire questa tendenza? Ritengo proprio di sì. Come l’uomo è stato autore di simili disastri così potrà (dovrà) essere protagonista di percorsi inversi. Bisogna però partire dai valori. Per cambiare rotta è necessario in primis un cambio culturale. Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l’economia, scriveva che “l’economia deve tornare ad essere una scienza umanistica che ha come base la filosofia morale, in quanto la finanza – e affermo io soprattutto quella “autoreferenziale” – non bada alle tragedie di cui si deve occupare l’economia”. Su questi temi ho argomentato in un mio recente intervento dal titolo “dare una nuova anima all’economia”, riprendendo volutamente le parole di Sua Santità Papa Francesco, in particolare quelle contenute nelle encicliche “Laudato sii” e “Fratelli tutti”, che rischiano di cadere nel dimenticatoio! Bisogna ripensare molte cose, ed è necessario agire con urgenza. La produzione di ricchezza deve essere finalizzata al benessere integrale dell’essere umano ed all’educazione per la salvaguardia della casa comune.

    Si tratta di costruire una visione di futuro ed il futuro stesso. In questa prospettiva l’Italia, anche per la sua storia immensa, può e deve assumere una leadership. L’Italia, culla dell’Umanesimo Rinascimentale, può e deve diventare culla del Neo Umanesimo Tecnologico, Digitale e Green.

    Siamo tutti coinvolti e responsabili, ognuno di noi è chiamato a svolgere un ruolo prezioso ed a fornire il suo insostituibile contributo. Non da soli però ma insieme, in comunità ed in armonia mettendo a disposizione i nostri doni. Se recupereremo questo senso dell’essere ed agiremo secondo etica e nel rispetto della persona, il futuro sarà migliore per tutti e soprattutto non lasceremo pesi, ma una bella eredità alle prossime generazioni».

     

     

     

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