Catanzaro al termpo delle case chiuse

Un approfondito excursus storico nella "vita notturna" della nostra città che rivela i suoi due volti

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    Nel 1859 Camillo Benso conte di Cavour permise l’apertura delle “Case di tolleranza” per la regione della Lombardia, l’anno successivo il decreto emanato divenne legge, permettendo così l’ampliarsi delle cosiddette “case chiuse”, tuttavia regolamentate da leggi molto severe. Si potrebbe dire che una maggiore frequentazione di questi luoghi avveniva nei periodi di guerra, ciò dato dalla presenza dei militari, in ogni caso non mancavano professionisti di vario campo, giovani, che dovevano avere almeno 18 anni e lavoratori del basso ceto.

    Ma sussistevano anche coloro che si recavano nelle “Case di tolleranza” senza nulla pagare (i cosiddetti “flanellisti”), solo per il gusto di guardare le ragazze in bellavista. Proprio con lo scoppio della seconda guerra mondiale le “Case chiuse” ebbero maggiore diffusione, poiché con l’arrivo delle truppe alleate americane le città si riempirono di soldati che, lontani dalle loro famiglie, forse cercavano di soddisfare le proprie mancanze “affettive” facendo riferimento a questo tipo di frequentazioni. Aprire una casa di tolleranza non era poi così semplice, le leggi a riguardo erano molto rigide se pur ci fossero delle distinzioni fra le stesse che erano classificate di prima, seconda e terza categoria. Si rese necessario l’obbligo di possedere una licenza, furono fissate delle tariffe, nonché tasse da pagare e rigorosi controlli medici periodici sulle prostitute, per evitare il diffondersi di malattie veneree. Si aggiunsero, in seguito, anche specifici divieti, come l’apertura nelle adiacenze di luoghi di culto, di asili e scuole, la proibizione di vendere cibi e bevande o fare feste e balli. Le persiane dell’appartamento in questione dovevano restare rigorosamente chiuse, da qui il nome derivante, “case chiuse”, al fine di evitare ogni tipo di sguardo indiscreto. Gli appartamenti, in genere, erano costituiti da un “salone d’ingresso”, dove venivano accolti e controllati gli avventori, alle pareti affisse anche le “regole” da rispettare per la prevenzione sanitaria ed era in questa sala che le ragazze attendevano i “clienti” succintamente vestite, per poi recarsi nelle stanze dove sussisteva lo stretto necessario: un letto, un lavandino, un bidet, un armadietto con i prodotti per l’igiene, come dentifricio, borotalco e del sapone al lisoformio. All’ingresso il “cliente” pagava la “marchetta”, che altro non era che un gettone in ottone forato dove, in genere, veniva anche riportato il “nome della Casa”. Una volta acquistato, il gettone veniva poi consegnato alla ragazza in camera che, alla fine dei propri incontri, portava il numero di marchette ottenute alla “tenutaria”. Quest’ultima era colei che in genere gestiva la “Casa” e che acquisiva le ragazze che restavano in città solo per una “quindicina” (solo quindici giorni per evitare che i rapporti con i clienti assumessero una condizione importante), regola immancabile da seguire.

     

    LE “CASE CHIUSE” A CATANZARO ebbero la loro espansione proprio grazie alla presenza dei militari. Seguendo uno scritto dello storico Nando Castagna si vorrà fare una breve disamina delle case di tolleranza presenti in città. Di quelle più comunemente conosciute, pare ce ne fossero quattro: tre nella zona del “Pianicello” e una in “Vico I Cacciatori”, nei pressi del mercato centrale. Tuttavia erano meglio conosciute con il nome delle loro “tenutarie”, ovvero, “la Renata”, “donna Peppina”, “Annarella” e “la Vergani”, nomi spesso riportati anche da altri scrittori catanzaresi. Fra queste, all’epoca, pare che la preferita fosse proprio la Vergani, che iniziò la sua attività nel 1943 in pieno periodo di guerra.

    L’essere una delle “preferite” poteva addebitarsi anche all’eleganza della sua “Casa” che, negli arredi, riconosceva una particolare cura forse in altre parti poco seguita, infatti non mancavano divani in velluto, alte specchiere e singolari stampe che riconducevano all’attività ivi svolta. Gina Vergani, proveniente da fuori regione, pare si trovasse a Catanzaro per seguire un “amore” poi non realizzato, ma di certo c’era che qualche professionista che aveva frequentato la sua “Casa”, era rimasto molto colpito dalla sua bellezza. Visto il tenore della sua “Maison”, la Vergani ospitava solo donne molto belle, provenienti soprattutto dall’Emilia Romagna poiché, pare, fossero molto ricercate. Dei suoi salotti, alcuni erano riservati alla clientela più “in”, mentre per la totalità dei clienti vi era un ampio salone ove sostavano le ragazze. Anche “Annarella” era molto conosciuta, la signora, dalla folta capigliatura rossa, aveva ammaliato molti catanzaresi per la sua avvenenza fisica. La sua “Casa”, in zona “Pianicello”, era per lo più frequentata da impiegati, bancari ed artigiani, ma anche da gente proveniente dai diversi paesi vicini. A sera, invece, erano i militari a invadere la zona del “Pianicello”, in libera uscita dalle loro caserme. Sia “Gina” che “Annarella” si adoperavano a fare una sorta di “pubblicità” per le strade della città, transitando in carrozza nelle ore pomeridiane per Corso Vittorio Emanuele con alcune delle ragazze, quasi ponendole in bella mostra con larghi sorrisi e ammalianti occhiate, per il piacere dei signori seduti ai tavolini dell’Imperiale.

     

    I CONTROLLI SANITARI erano obbligatori per chi possedeva una “Casa di tolleranza”. Infatti, soprattutto durante il fascismo la tutela sanitaria fu una delle prime regole imposte. I controlli erano periodici e se durante una visita, appurando il medico (Ispettore Sanitario dell’Ufficio di Igiene) l’esistenza di qualche malattia venerea, avrebbe dovuto immediatamente comunicarlo sia alla tenutaria, che alle autorità vigenti. In quel caso la ragazza era tenuta a sospendere la propria attività. Ma i controlli erano effettuati anche ai clienti nelle stesse “Case” prima dei loro incontri e, al minimo sospetto, l’avventore veniva gentilmente invitato ad andarsene dopo averne preso le generalità. A tutto ciò si aggiungevano i controlli serali da parte della Ronda Militare come sorveglianza sugli appartenenti alle Forze Armate. In questo contesto, ad avere cura della loro salute erano le stesse ragazze, proprio in virtù del fatto che avrebbero dovuto sospendere l’attività, cosa non favorevole per la propria “carriera”. C’è anche da dire che molte delle ragazze svolgevano il “lavoro di mercificazione”, per mera necessità. Tuttavia il problema della prostituzione aveva assunto diversi aspetti, dove sovente la donna subiva anche uno stato di “sfruttamento”. Ma l’argomento a riguardo risulta ampio e complesso, da non poterne qui estenderne la trattazione.

     

    LA PROSTITUZIONE NEL QUARTIERE MARINARO. A quanto sinora scritto si vorrà includere la parte di un paragrafo del libro “Il bosco delle immagini ritrovate” dello storico Angelo Di Lieto, infatti si viene a conoscenza di un episodio sull’attività di mercificazione in città. Si riporterà in seguito l’esatta dicitura (dopo gentile richiesta all’autore di poterla interamente riportare) dell’esposto redatto da alcuni residenti del quartiere marinaro a seguito di una determinante problematica venutasi a creare. Il documento, privo di data, ma risalente intorno al 1900, era stato redatto da un discreto numero di cittadini del “Villaggio Marina”, denunciando una situazione alquanto incresciosa vissuta in special modo nelle ore notturne a riguardo di “prostituzione e delinquenza”. Uno stato di cose che incideva sulla vita quotidiana dei residenti, perdendo ogni tranquillità del viver civile. Di seguito il testo dell’esposto: “…da qualche giorno la Pubblica Sicurezza di Catanzaro, adottando il saggio provvedimento di far rimpatriare nei rispettivi paesi le prostitute residenti in Catanzaro, ne ottenne per la città l’effetto benevolo. Avviene intanto, che molte prostitute, allo scopo di sfuggire al rimpatrio obbligatorio per mezzo del foglio di via, hanno abbandonato volontariamente la città, scegliendo per residenza questo Villaggio. A prescindere dello scandalo e delle offese continue al buon costume, nonché al disturbo che esse recano alla quiete privata e pubblica, in contravvenzione al regolamento sul meretricio “27 ottobre 1891”, di tanto più grave, in quantoché le stesse vengono spalleggiate da vagabondi oziosi e persone di malavita, che compromettono sempre più la sicurezza pubblica del Villaggio; sicurezza non tanto bene garantita anche precedentemente per come è stato dimostrato dai diversi reati di furto verificatisi. Per tutto quanto sopra è detto i sottoscritti cittadini, rivolgono calda preghiera alla S.V. Ill.ma affinché voglia promuovere dall’Ill.mo S.E. il Prefetto della Provincia, lo stesso provvedimento praticatosi per la Città di Catanzaro, in armonia dell’art. 84 del regolamento e 85 della legge di P.S. Rendono intanto sentite azioni di grazie e passano a sottoscriversi…”. In fondo alla pagina dell’esposto le firme di 49 cittadini (che si ometteranno per ragioni di spazio), di cui 38 con firme leggibili e 11 con firme illeggibili.

     

    I “DUE VOLTI” DELLA CITTA’. A conclusione di questo breve excursus, una osservazione nasce quasi spontanea. Quanto descritto è uno spaccato di vita della “vecchia” Catanzaro, che ben si uniforma a ciò che accade da sempre in ogni città, unendo stili di vita diversi fra loro. Quello, infatti, era anche il tempo delle serate della nobiltà cittadina a Teatro, delle carrozze che sostavano nella Piazza Matteotti o che transitavano nel Corso cittadino, era anche la città delle feste nei salotti più “in”, dei professionisti nei loro impeccabili vestiti o delle belle signore dai larghi cappelli con trine e merletti comodamente sedute ai tavolini dell’antico Imperiale. Ma tutto ciò si alternava a quella vita notturna un po’ “nascosta”, vissuta alla luce dei lumi a petrolio, del particolare profumo dei salotti delle “Case chiuse” viste come luogo di svago ed “eros”, di quell’andare, a sera, nei vicoli del centro storico della città, punto d’incontro anche di giovani domestiche per i loro ardenti amori. Tutto nelle quiete della sera, forse, dimenticato alle prime luci dell’alba. (foto dal web)

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