Le donne di ‘ndrangheta. L’analisi di Marisa Manzini nel suo secondo libro presentato a Catanzaro

Custodi di mentalità criminale o combattenti per offrire un futuro diverso ai figli. Al liceo scientifico “Fermi” il seminario tenuto dal sostituto procuratore generale

Più informazioni su

    Marisa Manzini ha scritto un bellissimo libro su ‘ndrangheta e suoi dintorni femminili. Chiaro, essenziale, soddisfacente. Nelle centoventi pagine stringate e dense di “Donne custodi, Donne combattenti” edito da Rubbettino c’è tutto quanto è necessario faccia parte del bagaglio culturale e nel proposito civile del lettore che voglia comprendere da quali radici è germinata la mala pianta della criminalità organizzata calabrese, come si sia contemporaneamente ramificata ed evoluta, come tragga dall’elemento femminile interno linfa e tessuto connettivo, quali antidoti culturali sviluppare, assumere e diffondere per contrastarne l’espansione e ridurne il veneficio. Marisa Manzini è, oggi, sostituto procuratore generale a Catanzaro, dopo avere ricoperto tutte le funzioni immaginabili per poterla definire, qualora la definizione abbia senso giuridico, magistrato antimafia a tutto tondo ed esperta tra i più riconosciuti nelle analisi e politiche di contrasto alle mafie.

    Come ha detto stamani ai ragazzi del liceo scientifico Fermi alla ripresa dei seminari di conoscenza dopo la parentesi imposta dal Covid a un certo punto le è “apparso stretto fare ‘solo’ il magistrato. Le armi del magistrato non sono sufficienti quando si parla di criminalità organizzata perché non si tratta solo di combattere reati ma lottare contro una mentalità, mafiosa in senso lato. Mi è parso necessario parlare soprattutto a giovani come voi perché ben comprendiate ciò che è successo in questa regione dove finanche le scuole sono state costruite sui rifiuti tossici”.

    Libro Marisa manzini

    A introdurre il particolare dell’orrida edilizia scolastica era stato pochi minuti prima Franco Maccari vice presidente nazionale di Fsp – Federazione sindacale di Polizia – riferendosi a quanto evidenziato a Crotone fin dal 1999 nell’inchiesta ‘Black Mountains’, soltanto uno dei numerosi esempi che fanno intravedere quanto perversa possa essere la mente criminale pur di inseguire illecito guadagno. Prima di Maccari, invitati dal giornalista Simone Puccio, avevano offerto spunti di riflessione la dirigente scolastica Teresa Agosto a capo di una comunità di studenti e personale popolosa quanto una piccola cittadina, 1700 persone che ogni giorno si muovono nei due plessi del Fermi; Mirko Schio, fondatore di Ferviprego – Feriti e vittime della criminalità e del dovere – veneto, poliziotto, dal 1995 costretto sulla sedia a rotelle perché colpito da diversi proiettili durante un servizio stradale di controllo notturno a Marghera;

    Marisa manzini

    Giuseppe Brugnano segretario nazionale Fsp, che, ricordando il suo impegno di consigliere comunale a San Luca, ha chiamato i giovani alle scelte consapevoli e giuste, sempre dalla parte della legalità e dello Stato; Renato Panvino, vicario del questore di Catanzaro Maurizio Agricola: “un libro per non specialisti che smuove le coscienze. Ci ricorda come le donne abbiano un ruolo fondamentale nell’organizzazione ‘ndranghetistica, in un sistema da cui allontanarsi non è facile. Ci sono donne custodi della tradizione, donne che vogliono contare di più nell’organizzazione, ma ci sono donne coraggiose che vogliono cambiare. Ai voi ragazzi dico: non scegliete mai la strada più breve e più semplice, perché il sacrificio sarà ricompensato”.

    Renato Panvino

    Marisa Manzini ha dato dapprima le coordinate per orientarsi nel libro: una prima parte più generale, in cui descrive l’origine della ‘ndrangheta e come si è sviluppata fino a infiltrare la società di tutto il Paese se non del mondo intero; una seconda con focus sulla figura della donna e del suo ruolo nell’organizzazione criminale. “La ‘ndrangheta – ha detto il procuratore
    si fonda sulla ndrina, che è la famiglia anagrafica del capo. C’è una sovrapposizione tra famiglia ‘ndranghetistica e famiglia anagrafica. Per questo occorre incidere sulla famiglia per frantumare questo blocco, in cui la donna ha la stessa caratteristica della mamma di famiglia, con la funzione particolare di custodire e trasmettere i valori della famiglia di ‘ndrangheta, nella quale tutto, tradizionalmente, è uniformato al maschile. Per tanti anni questo ruolo si è mantenuto fermo. Ma, come la ‘ndrangheta si è evoluta, anche nel suo mondo femminile ci sono stati mutamenti, in parte propiziati dall’accesso ai nuovi strumenti di comunicazione. La donna comprende che al di là delle mura ci sono donne libere ed emancipate. Da qui può nascere l’anelito a una vita diversa, per sé e per i propri figli”.

    Manzini arricchisce il suo discorso facendo riferimento a due delle figure femminili, esempio di donne combattenti. Narra di Giuseppina Pesce, dell’omonima famiglia ‘ndranghetista di Rosarno, che dopo essere stata arrestata con tutti i componenti per associazione mafiosa, spronata anche da una relazione nata sui social, inizia la collaborazione con la giustizia con esito positivo, consentendole di vivere una nuova vita in condizioni di sicurezza. Narra di Tita Buccafusca, moglie di Pantaleone Mancuso, dalla collaborazione raccolta dalla stessa Manzini, ma durata il breve spazio di due giorni e due notti, seguita dopo un mese dalla crudele ed emblematica fine per lesioni interne da ingestione di acido. 

    Libro Marisa manzini

    “Queste collaborazioni – ricorda Manzini – risalgono ormai a dieci anni fa. Da allora non ci sono state più donne che hanno avuto la forza di una collaborazione seria. Le ultime operazioni anzi danno esempi di donne che vogliono emanciparsi in altro modo, avvicinandosi alla mentalità mafiosa. Questa non è emancipazione. Considerare una donna che vuole diventare un capo, avvicinandosi alla mentalità maschile di mafia, vuol dire tornare indietro di anni”.

    Marisa manzini

    Il procuratore si rivolge direttamente ai ragazzi del Fermi, infine: “Non so se è il vostro caso. Ma in Calabria ci sono tante scuole in cui i figli di famiglie di ndrangheta studiano e convivono con i compagni. È importante comprendere da parte loro cosa si possa fare dall’interno per combattere la mentalità mafiosa che non porta a nulla, i cui componenti hanno il futuro segnato, in carcere o ammazzati. Sono occasioni decisive per acquisirne consapevolezza e intravedere uno spiraglio di salvezza”. 
      

    Più informazioni su